Quelle chiese pentecostali e il dramma di una madre

Miglior film della sezione orizoznti “Free in Deed” dell’americano Jake Mattaffy

Davvero innovativa la sezione “Orizzonti” di Venezia 72: il concorso internazionale, che ogni anno dal 1988 seleziona le migliori “nuove tendenze” del cinema mondiale.

Per intenderci: se si vuole capire quale è e quale sarà la cifra innovativa del cinema, ecco che “Orizzonti” offre una panoramica davvero stupefacente raccogliendo autori agli esordi ma anche emergenti non del tutto affermati.

I film presentati in concorso in questa settantaduesima edizione della mostra, in generale, hanno coniugato realismo e sperimentazione, si può dire, e anche realismo e estetismo; un estetismo di immagini e di suoni.

Tra i diciotto film in concorso, la giuria presieduta da Jonathan Demme, il maestro del “Silenzio degli innocenti” e di “Philadelphia”, ha premiato come miglior film “Free in Deed” dell’americano Jake Mattaffy.

Il film, manifesto del cinema di oggi, tra realtà e super-forma, si ispira a una storia di cronaca di alcuni anni fa a Memphis, ed è ambientato in una di quelle chiese di fortuna ricavate dai locali dei negozi dismessi.

Con immagini che sembrano “normali” ma riprendono i personaggi da angolature particolari, con un suono molto suggestivo, il regista filma l’attesa di un miracolo.

Abe, il pastore di una di queste chiese pentecostali, è un uomo che vuole espiare i suoi peccati e si è chiuso rigidamente nel delirio religioso, dedicando la sua vita a Dio.

Un giorno incontra una giovane donna single, madre di due bambini di cui uno gravemente colpito da una forma di autismo autolesionista: da quel momento Abe non pensa che a salvare il ragazzino. E così inizia a pregare, ma più prega più le cose si mettono male, fino alla tragedia finale in cui Abe inconsapevolmente, durante un esorcismo, soffoca il ragazzo.

Come può un uomo far morire un bambino credendo di aiutarlo? Mattaffy risponde con questo film che è il risultato di un progetto iniziato dodici anni fa. Inoltre, per rendere veramente autentico il pathos e il clima di quelle chiese, il regista riprende delle vere e proprie cerimonie religiose, in autentiche chiese pentecostali.

Per quanto il tema sia complicato e pieno di risvolti anche nella psicanalisi, il film analizza con il suo procedere lento e quasi estenuante, come l’estasi religiosa possa portare al baratro esistenziale. Il regista riprende Abe come un uomo drammaticamente imprigionato nella preghiera “assoluta” e lontana dalla vita, anche pericolosa. Abe, più prega più si distacca dal calore umano, ovvero dall’unica medicina che gli porterebbe un po’ di conforto.

“Free in Deed” è drammaticamente vero e intenso e forse proprio per questo ha vinto; per lo stesso espressivo realismo ha vinto il premio speciale della giuria “Boi Neon” del brasiliano Gabriel Marasco. Raccontando il lavoro duro e sporco di un vaquero di rodeo, rappresenta la trasformazione del Brasile nordorientale.

Per concludere, sempre nel filone del realismo drammatico e quasi documentaristico si colloca “Tempete” del francese Samuel Collardey che narra la storia di un pescatore francese interpretato da Dominique Leborne, premio per la miglior interpretazione.

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