“Senza sconti ma senza arroganza”

Sollecitato da Silvano Bert sui temi più dibattuti del prossimo Sinodo dei Vescovi (in particolare sulla morale familiare e omosessualità) Enzo Bianchi ha risposto in modo ampio e puntuale: ““Penso che la Chiesa debba chiedere perdono alle famiglie – ha premesso – perchè in questi secoli di cristianesimo c'è stata poca attenzione alla famiglia, disprezzata come se fosse la via dei cristiani mediocri e la via aurea per il Regno dei cieli fosse invece quella del clero e dei religiosi”. Come monaco, ha aggiunto poi “mi vergogno di dire che la nostra è la vita della “perfetta carità”. Spesso esercitate più voi la carità che noi nei nostri conventi dove può essere facile far finta che l'altro non ci sia, nemmeno salutarlo”.

Dall'ascolto dei genitori, Bianchi coglie come nella famiglia c'è un portare la croce quotidiano che è pesante. “Rinnovare l'amore è difficile quando talvolta vengono meno la pulsione sessuale, l'incanto, l'intesa. Anche la condivisione dei corpi è molto difficile. Quando poi arrivano i figli, bisogna accettare che sono diversi, che poi se ne vanno… Io mi inchino davanti a voi sposati, perchè so quanto è difficile restare fedeli oggi; sono anche venute meno le sponde sociali che sorreggevano un matrimonio”.

Il priore di Bose ha riassunto poi così una delle domande emerse nel periodo intersinodale: quando una storia d'amore finisce con la divisione, e inizia una nuova storia che si mostra più feconda, cosa possiamo dire? “Innanzitutto, che la parola di Gesù dice no al divorzio. Non possiamo cambiare il Vangelo, i comandamenti van presi sul serio. Ma poi ci chiediamo anche se, compiuto il peccato, la colpa deve restare per sempre o si possa aprire per quelle persone una via di misericordia?”

“La Chiesa – continuava Bianchi – ora dice con chiarezza due cose che un tempo non diceva: se due coniugi, stando insieme, si fanno del male e l'uno rende più cattivo l'altro, è meglio la separazione. Seconda cosa: se c'è una nuova storia d'amore, i due membri continuano a far parte piena della Chiesa. Certo, in una condizione “che non è secondo il piano di Dio”, ma non si può più dire che sono pubblici peccatori. Se sono seri, fanno penitenza, compiono un cammino di fede, se hanno compiuto ogni giustizia in merito al matrimonio precedente o ai figli, se danno prova di credere e frequentare la Chiesa, queste persone possono leggere la Parola di Dio durante l'Eucaristia, fare i catechisti o altri servizi in parrocchia”.

Secondo alcuni – al termine di un cammino sorvegliato dal vescovo, dopo anni di prova, se c'è una nuova storia d'amore salda e seria- è possibile dopo una chiara penitenza anche l'ammissione all'Eucaristia. Altri dicono di no, ma sarà il Papa a decidere”.

Bianchi sottolineava “la certezza che la dottrina non cambia – in passato la Chiesa ha perso una nazione, l'Inghilterra, per aver difeso l'indissolubilità del matrimonio – ma la disciplina puà cambiare ad alto prezzo, non a basso prezzo della grazia”.

Infine, l'omosessualità. L'Antico Testamento la condanna come un grave peccato, Paolo nel Nuovo Testamento lo ritiene una situazione disordinata che contraddice la volontà di Dio, “ma teniamo presente che Gesù non ha detto mai una parola su comportamenti omosessuali”, osserva Bianchi che quindi osserva che per la Chiesa l'omosessualità resta un enigma: “Dobbiamo avere l'umiltà di dire che siamo di fronte ad un' enigma e che come Chiesa non siamo chiamati a dire una parola su tutto”.

Il priore di Bose invitava poi a saper guardare prima la sofferenza delle persone che la loro situazione di peccato – sull'esempio di Gesù – e ribadiva peraltro che “la Chiesa non potrà mai fare le nozze per persone dello stesso sesso, non ha alcun senso”. “Ma vorrei che i cattolici lasciassero una possibilità – aggiungeva – che lo Stato potesse normare fuori dal matrimonio possibilità di convivenza senza chiedersi se c'è sessualità o no: può darsi siano due vecchi che vogliono stare insieme aiutandosi, o due artisti che si capiscono bene…perchè lo Stato non può normarle? Penso ad un quadro legale, per cui uno possa rispondere di quella perosna in casa di malattia o di povertà”.

Misericordia, dunque. “Si tratta di non dire bene di cose di cui non possiamo dire bene. Ma nei casi concreti ogni persona ha la sua storia unica – aggiungeva – e chi può dire che una storia è sbagliata più di un'altra. Quando il Papa ha detto chi sono io per giudicare… voleva ribdire che solo Dio è il giudice ultimo del nostro peccato.

Affidiamoci a Lui, senza tradire le parole del Vangelo e della scrittura: nessuno sconto, ma anche nessuna arroganza. Cerchiamo la misericordia come ce la dice il Vangelo, non come la cerchiamo noi”.

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