Ai cimiteri, come a scuola

Nonostante il venir meno di molte tradizioni, quella della visita ai cimiteri nella ricorrenza del 1° novembre resiste. Ed è un’esperienza unica, tipica, certamente diversa dalle solite immancabili circostanze funerarie, abitualmente caratterizzate da atteggiamenti di amarezza e di strazio in chi affida alla terra le spoglie di una persona cara. No, in questa occasione tutto avviene in un clima di serena mestizia, che non impedisce di conversare con conoscenti o amici, ma lo si fa in toni dimessi, quasi nel timore di disturbare chi riposa. Il che non è troppo strano, se si pensa che “cimitero” (termine che viene dal greco “koimetèrion“) significa appunto “luogo ove si riposa insieme”.

E non è da poco constatare come questo clima di rispettosa venerazione accomuni tutti, credenti e non credenti. È un dato che consente di trarre qualche considerazione positiva:  siamo ancora in grado (per fortuna) di resistere ai molti tentativi di cancellare la morte dal nostro immaginario culturale. Siamo ancora capaci di pensarla come componente della vita (l'ultima), e non solo con atteggiamenti angosciosi e strazianti, ma anche con più o meno serena consapevolezza.  Comprendiamo, anche se non lo diciamo apertamente, che il vivere e il morire non dipendono da noi, e ogni tentativo per dimenticarlo sa di autolesionismo, di presa in giro di noi stessi. Del resto, è già stato detto da qualcuno: è anche per una tale consapevolezza che ci distinguiamo da ogni altro essere vivente.

Luogo del riposo un cimitero lo è anche perché in quell’ambito s’acquietano molte tempeste, rivalità, liti, prevaricazioni e ingiustizie: nababbi e nullatenenti, delinquenti e galantuomini vi si trovano accostati gli uni agli altri senza recriminazione alcuna… Sì, fa bene entrare nei cimiteri; voglia o non si voglia, la sensazione che è bello vivere si riequilibra con la constatazione che è comunque all’insegna della precarietà, del provvisorio, che si vive. E’ un prezioso tassello di "umanità" una tale coscienza; sarebbe da irresponsabili, ad esempio,  impedire che si desti anche nei bambini, nei ragazzi: la visita alle tombe dei propri cari è una lezione che apprendono per via d’intuizione, prima che dalle parole che noi adulti sappiamo dire o non dire.

Ed è per tutti – credenti e non credenti – provocazione a verificare valori, ideali, interessi che non di rado declassano l’esistenza a un irrefrenabile correre senza controllo alcuno: valutati da quel particolare angolo d'osservazione che è un cimitero, spesso assumono contorni più sfumati, quando non appaiono addirittura superficiali e inconsistenti. Al che, con un minimo di saggezza, se ne traggono salutari conclusioni.

Ovvio, poi, che per quanti si lasciano animare dalla fede, la visita ai cimiteri è anche molto più di questo: diventa esperienza di comunione con quelle persone care che hanno già oltrepassato l’ultima frontiera. Oh, non che sia necessario recarsi nei cimiteri per questo! Ma, si sa, anche chi crede ha bisogno di segni visibili, tangibili, per ravvivare certe convinzioni. “Sia che viviamo, sia che moriamo, noi siamo del Signore” assicura san Paolo. L’aldilà, a prescindere dalle immagini simboliche con le quali si è sempre tentato di immaginarlo, ha il volto amico e accogliente del Cristo e quel riposare insieme che è il cimitero costituisce un’anteprima – per quanto povera e mesta – a un ridestarsi festoso, ma per vivere ancora insieme nell’eterno presente di Dio. La si prenda pure come battuta, se si vuole, ma è anche molto di più: beati noi fin che possiamo entrare e uscire dai cimiteri con più o meno frequenza. E’ come andare a scuola. Chissà che a forza di ripetizioni non impariamo finalmente a vivere!

Don Piero Rattin

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