Col passo degli ultimi

Concluso dopo tre settimane il Sinodo ordinario sulla famiglia: il clima, le conclusioni, i commenti

Papa Francesco parla di un popolo di Dio in cammino “che non vuole escludere nessuno”. E ricorda anche i profughi sulle strade dell'Europa

Piazza San Pietro, domenica 25 ottobre – “E' stato faticoso…” Dalla finestra dell'Angelus di fine Sinodo la voce scende sicura sulla nostra piazza gremita – centomila i fedeli – ma il volto del Papa da vicino diceva stanchezza, il passo incerto all'uscita dalla basilica di San Pietro. “Abbiamo vissuto l’esperienza della Chiesa in cammino – usa un'immagine conciliare, compresa ad ogni latitudine – in cammino specialmente con le famiglie del popolo santo di Dio sparso in tutto il mondo”.

Un Sinodo che è stato “quasi” un Concilio, per i due anni di lavori, migliaia di questionari arrivati da regioni del mondo molto diverse tra loro. Un esempio di una collegialità reale – quella invocata dal card. Martini – con tanti emendamenti suggeriti dai lavori nei Circoli alla relazione finale: “Un bel passo avanti per una Chiesa che non dà condanne e anatemi, ma vuole includere, anzi meglio integrare”, sintetizza un vaticanista nei primi collegamenti da via della Conciliazione. Approvata “con una maggioranza estremamente ampia” in ognuno dei 94 paragrafi (lo scorso anno non fu così nel “primo tempo” del Sinodo straordinario), anche nei punti 84-85-86 sulle “situazioni complesse”. Come quella dei divorziati risposati, sulla quale il Sinodo precisa i criteri del discernimento “caso per caso” e dell'accompagnamento pastorale all'insegna della logica dell'integrazione.

Impossibile “accontentare tutti”, ma ora ci penserà il Papa a rilanciare i consigli dei padri sinodali: “i tempi cambiano in fretta e anche i cristiani devono continuamente cambiare”. Ha scandito Francesco nel discorso finale del Sinodo: “non significa aver concluso tutti i temi inerenti la famiglia, ma aver cercato di illuminarli con la luce del Vangelo, della tradizione e della storia bimillenaria della Chiesa, infondendo in essi la gioia della speranza senza cadere nella facile ripetizione di ciò che è discutibile o già detto”.

Anche i vescovi asiatici cedono all'ultimo selfie nel sagrato ormai svuotato di piazza San Pietro prima di tornare nelle loro terre provate anche da violenze, privazioni, esodi di massa. “Come le famiglie dei migranti in fuga sulle strade dell'Europa”, ricorda ancora il Papa, suggerendo all'Angelus il cammino di “una famiglia di famiglie, in cui chi fa fatica non si trova emarginato, lasciato indietro, ma riesce a stare al passo con gli altri, perché questo popolo cammina sul passo degli ultimi; come si fa nelle famiglie, e come ci insegna il Signore, che si è fatto povero con i poveri, piccolo con i piccoli, ultimo con gli ultimi. Non lo ha fatto per escludere i ricchi, i grandi e i primi, ma perché questo è l’unico modo per salvare anche loro, per salvare tutti: andare con i piccoli, con gli esclusi, con gli ultimi”.

“Oggi è tempo di misericordia”, ha esclamato il Papa in San Pietro accogliendo doni di famiglie ferite anche dalla malattia o dalle tensioni. E invitando i cristiani a non coltivare una 'spiritualità del miraggio’: “Possiamo camminare attraverso i deserti dell’umanità senza vedere quello che realmente c’è, bensì quello che vorremmo vedere noi; siamo capaci di costruire visioni del mondo, ma non accettiamo quello che il Signore ci mette davanti agli occhi”. “Una fede che non sa radicarsi nella vita della gente rimane arida e, anziché oasi, crea altri deserti”, il richiamo finale del Papa dalla voce argentina.

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