Omaggio a Lubitsch

C’era una volta (e c’è tuttora) il cosiddetto “tocco di Lubitsch”. Quella grazia, quell’ironia, quell’umorismo, quella leggerezza che erano la cifra stilistica del regista di origini tedesche emigrato negli Stati Uniti, come altri (Billy Wilder su tutti, che coniò il termine), con l’arrivo al potere di Hitler; sua e di tante sue commedie sofisticate degli anni Trenta e Quaranta del secolo scorso. E Tutto può accadere a Broadway è l’omaggio di Peter Bogdanovich all’autore di capolavori della Hollywood dei tempi d’oro quali Mancia competente, Vogliamo vivere!, Ninotchka, Fra le tue braccia (citato esplicitamente). Mancava da molto dal set il regista statunitense di Paper Moon e L’ultimo spettacolo e questo ritorno non fa che confermare le sue doti che negli ultimi anni sono più che altro state riversate in televisione (la serie dei Soprano è sua). Qui, in Tutto può accadere a Broadway, i cui primi abbozzi risalgono alla fine degli anni Novanta, il plot ruota attorno ad una squillo d’alto bordo diventata attrice (l’inglese Imogen Poots nella parte di Isabella “Izzy” Patterson) che racconta i suoi exploit nello star system teatrale (ispirandosi ad Audrey Hepburn) ad una giornalista non particolarmente accondiscendente, o forse sì.

Un continuo flashback, una gag dietro l’altra, il coinvolgimento di un famoso regista teatrale (l’Owen Wilson di Midnight in Paris di Woody Allen, e le assonanze ci sono, e non pare un caso) traditore seriale peraltro poco fantasioso ma anche di sua moglie (Kathryn Hahn), di una psicologa isterica (Jennifer Aniston), di un attore (nella pièce e in commedia) quale Rhys Ifans (tra i tanti film anche in Notting Hill). Una commedia degli equivoci, un tourbillon di situazioni nella migliore tradizione della Mecca del cinema.

Quando Bogdanovich presentò il film alla Mostra di Venezia, nel 2014, dichiarò: “Si tratta di una commedia romantica un po’ insolita con sfumature demenziali e un cast meraviglioso fatto di volti noti e di qualche sorpresa. L’idea nasce alla fine degli anni Novanta quando abbiamo deciso di utilizzare uno spunto legato ad un film che feci nel 1979, Saint Jack. Per il film usammo delle vere escort che volevano fare le attrici, erano molto brave e decidemmo di dare loro degli altri soldi per farle smettere con la prostituzione. Da questo e dal mio amore per Ernst Lubitsch, in particolare Fra le tue braccia, è nato il film”.

E a proposito della Hollywood dei nostri giorni aveva sottolineato: “Io non amo spendere tanto (come ad esempio i 150 milioni di dollari per il Titanic di James Cameron, ndr), preferisco i piccoli film che si possono fare da indipendenti. Il cinema che amo è quello di John Ford e Lubitsch ma sono giorni che non torneranno, ora conta solo se incassi 300 milioni di dollari nel primo fine settimana. E’ piuttosto deprimente, credo che siamo in un periodo di decadenza”.

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