Un “taglio” trentino per i colori di Iringa

“La moda – dice – non si può definire né italiana, né europea, africana o americana, ma solo global”

Elisa Grazioli, 35 anni, una laurea in “polimoda”, acquisita a Firenze, un master come stilista e dieci anni di lavoro a Bologna in una multinazionale dell’abbigliamento Usa, ha deciso di continuare l’esperienza maturata tre anni fa in Africa, precisamente a Iringa in Tanzania, dove si è trasferita in pianta stabile presso la missione cattolica delle Suore Teresine del Bambin Gesù, una congregazione religiosa femminile, fondata dai sacerdoti della Consolata, presente in tutto il Paese dove opera soprattutto nel campo dell’infanzia e della formazione delle giovani.

In Trentino, durante un breve soggiorno per un periodo di riposo, Elisa Grazioli si è spesa per far conoscere il suo nuovo lavoro iniziato, in via del tutto occasionale, al seguito dei genitori, mamma Paola e papà Clerio, che da qualche anno trascorrono due, tre mesi all’anno in Tanzania come volontari del Gruppo missionario Alto Garda e Ledro Onlus.

Elisa ha avvicinato molti giovani, grazie al suo blog e ad un paio di uscite, che hanno incuriosito molte persone, al mercatino dei Gaudenti di Trento, con l’esposizione di alcuni capi di abbigliamento per donna, prodotti nel laboratorio di moda avviato a Iringa, seconda città tanzaniana per numero di abitanti. Prima di lasciare l’Italia ha voluto incontrare personalmente amici e conoscenti, in un locale pubblico del centro cittadino per far conoscere i suoi programmi illustrati, tra l’altro, con l’ausilio di due calendari per il 2016 (di cui uno pensato apposta per i ragazzi), che riproducono il mondo in cui opera attraverso immagini suggestive, frutto della sua passione per la fotografia.

La partenza ha subito qualche ritardo su disposizione dell’ambasciata italiana in attesa della normalizzazione “politica” dopo le recenti elezioni presidenziali. “Non c’è da preoccuparsi”, ha detto Elisa agli amici, allarmati per i molti conflitti presenti in Africa. “In Tanzania la situazione è tranquilla – questa la sua valutazione –, anche perché il risultato dalle urne ha dato una svolta al governo del Paese eleggendo un presidente che ha promesso la lotta alla corruzione e la stabilizzazione della democrazia e delle libertà”. Il ritorno a Iringa si è svolto senza particolari difficoltà.

Ad attendere Elisa c’erano le quattro operatrici del laboratorio di abbigliamento, bimbe e bimbi dell’orfanotrofio gestito dalle suore con un’ottantina di piccoli ospiti, dai neonati fino ai 7 anni, e la sua piccola Neema, che in lingua Swahili significa “grazia”, una bimbetta disabile di 5 anni, adottata. Le adozioni a distanza sono uno dei canali di collaborazione e di sostegno economico delle istituzioni delle Suore Teresine attivati dal Gruppo missionario Alto Garda e Ledro che, due volte all’anno, invia in Tanzania squadre di 8-10 persone autosufficienti nella gestione del soggiorno. “Ormai si trova di tutto – spiega Clerio – per quanto riguarda gli alimenti. E’ carente la sanità. I rapporti e le amicizie si consolidano attraverso il lavoro comune a supporto delle nozioni acquisite sui banchi di scuola”.

La scelta africana per Clerio e Paola, al momento della pensione, è maturata nelle precedenti esperienze fra gli ammalati, con Ospitalità tridentina alla scuola di mons. Enrico Nicolini, di don Valeriano Segatta e don Piero Rattin, nonostante che negli anni il numero dei volontari si sia molto assottigliato con l’evoluzione intervenuta nell’organizzazione dei pellegrinaggi soprattutto mariani d’Oltralpe. In Tanzania una suora e un sacerdote di colore fanno da tramite per la continuità delle amicizie e della collaborazione. Non è la sola espressione del volontariato italiano ed europeo ad occuparsi della situazione di povertà della zona, in rete gli uni con gli altri.

Dalla rete, la stilista Elisa attraverso il suo blog www.unatwigaintanzania.blogspot.it (dove ‘twiga’ sta per “giraffa”) sta conseguendo i primi risultati nella vendita dei capi di abbigliamento che escono dalla piccola sartoria. I primi clienti sono coppie di giovani italiani, naturalizzati in Tanzania e nello Zanzibar, per lo più ristoratori interessati ai suoi prodotti esposti al pubblico nei locali annessi ai loro ristoranti.

Tutto il ricavato è destinato alla scuola professionale di cucito in fase di ampliamento anche grazie agli aiuti di benefattori italiani e alla raccolta dei vari macchinari necessari. Qualche spicciolo arriva anche dalla vendita dei calendari.

Il viso di Elisa s’illumina fra la sorpresa e la gratitudine, quando cita i vari episodi di solidarietà inattesa come l’invio da parte di un’imprenditrice di macchine da cucire, stiratrici e tessuti vari destinati poi anche ad altri organismi umanitari e i molti contatti con giovani che chiedono di trascorrere qualche periodo di lavoro nella missione. Sono rapporti nuovi legati alla collaborazione internazionale, alla solidarietà, all’accoglienza, per lo più spontanei, molti dei quali frutto della rete.

I suoi vestiti, che seguono la moda “globale”, come la definisce, e non solo del luogo, sono tutti confezionati con tessuti africani: materiale e stili moderni. “Alle ragazze – ribadisce Elisa – piace vestire all’ultima moda che spesso non si può definire né italiana, né europea, africana o americana, ma solo global”. “I guadagni – aggiunge – non hanno ancora appianato i costi degli investimenti”. Ma non dispera: le collaboratrici sono stipendiate. Lei può contare ancora sulla buona-uscita. Ma non se ne fa un problema in quanto guarda lontano con serenità, sorretta dai familiari, dal Gruppo missionario, dagli amici e da una fede che non trapela nelle parole, ma che è testimonianza evangelica personale e comunitaria, stile di vita.

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