Le spine di Renzi

Che per un governo gli esami non finiscano mai è quasi fisiologico, almeno in un regime democratico dove ovviamente esiste una opposizione che ha come fine quello di batterlo. Meno fisiologico è che ad attaccare continuamente il governo sia una componente della sua maggioranza e un coagularsi contro di esso dell’alta burocrazia. Gli uni e gli altri dovrebbero, almeno in teoria, sostenerlo ed esercitare quello che può essere un legittimo diritto di critica secondo la vecchia logica per cui i panni sporchi si lavano in casa.

Per il governo Renzi e soprattutto per il suo leader sembra non sia così. Proprio nel momento in cui parte il dibattito sulla legge di stabilità, che è già di per sé un passaggio complicato, riprende l’operazione di logoramento dell’attuale esecutivo. In vista di quale sbocco non si riesce a capirlo, ma che sia così appare sempre più chiaro.

Le spine che si vanno configgendo nella carne viva di questa leadership sono più d’una. Certo c’è quella inevitabile del pasticcio romano, con il sindaco dimissionario Ignazio Marino che gioca a fare il tribuno del popolo e che non si accorge (o che ha interesse a non accorgersi) che le folle che lo sostengono vogliono in realtà mettere in difficoltà Renzi e soprattutto l’operazione pulizia sul PD romano avviata da Orfini sull’onda dell’indagine di Fabrizio Barca. In questo caso venirne fuori è a rischio, perché difficilmente si potrà evitare la debacle elettorale ed è il primo “conto” che i nemici interni vogliono presentare al segretario.

Poi c’è la vicenda legata alle posizioni della direttrice dell’Agenzia delle Entrate. Vicenda abbastanza surreale in verità. La dr. Orlandi si lamenta che il suo ente non può lavorare perché la Corte Costituzionale ha stabilito che la sua alta dirigenza non è stata nominata secondo le regole. Si può capire che quelle posizioni le servissero, molto meno che eviti di dire che il pasticcio è stato creato (non da lei peraltro) da una disinvolta inosservanza di regole: e se c’è un terreno su cui l’inosservanza di regole è diffusa e lei dovrebbe combatterla è in materia fiscale.

In questa commedia kafkiana si infilano subito personaggi ancora più kafkiani. Prima arriva il sottosegretario Zanetti che ne chiede le dimissioni e siccome la cosa è bizzarra minaccia di pretendere una “verifica di governo”. Considerando che il sottosegretario è a capo di un partitino, Scelta Civica, in cui sono rimasti meno dei tradizionali quattro gatti e che non conta proprio nulla, la faccenda è surreale. Ad aggravarla arriva un leader della minoranza dem, l’on. Speranza, che lancia il fatidico “giù le mani dalla dr. Orlandi”. Subito dopo arriva il deputato Franco Monaco che, supportato dall’on. Carlo Galli, stabilisce che il PD non è più un partito di sinistra (e sin qui niente di nuovo), per cui bisogna fare una scissione concordata: il centro con Renzi, i “sinistri” in una nuova formazione. Dove sta il surreale? Che poi questi due tronconi devono siglare un patto di coalizione per rifare il centro-sinistra col trattino. Ma se la prospettiva è quella di governare insieme a cosa serve fare una scissione? Confessiamo il nostro limite di comprensione.

Naturalmente sullo sfondo c’è dell’altro. Il congresso dell’Associazione Nazionale Magistrati ha riaperto lo scontro col governo, anche in questo caso su questioni incomprensibili, che comunque sanno abbastanza di corporativismo. Poi l’abilità del ministro Orlando è riuscita a ricompattare la situazione, ma il segnale qualche inquietudine la lascia.

A complicare il quadro c’è il rincorrersi di varie vicende: la disgregazione dell’NCD, i rumors su una possibile revisione dell’Italicum, con intanto un intemerato gruppo di giuristi e politici che si sono autoproclamati i veri custodi della costituzione i quali sono corsi a presentare esposti a varie corti d’appello italiane nella speranza di trovare qualche magistrato che apra un procedimento che porti alla Consulta la questione di costituzionalità dell’Italicum. Operazione di scarsa utilità perché se passerà la riforma del senato quel giudizio può essere chiesto direttamente da un certo numero di parlamentari, che si sa già esistere. Dunque il fine è solo quello, ammettiamolo, di fare confusione.

In un clima così gestire un passaggio delicatissimo come la legge finanziaria è un’impresa difficilissima. Peccato che in gioco non ci sia l’azzoppamento di Renzi, ma la possibilità di consolidare quel poco di ripresa economica che sembrava affacciarsi al nostro orizzonte.

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