Alla ricerca dei trentini della diaspora

La politica – per quattro legislature in Regione, fino a diventare vicepresidente – ne ha affinato l’attenzione al mondo del lavoro e dell’emigrazione

Un ciclo di sedute riabilitative in day hospital a Villa Rosa, il nuovo centro di cure di Pergine, è quanto recentemente il dott. Bruno Fronza, su suggerimento del proprio medico di famiglia, si è visto costretto a fare per rimettere in moto la funzionalità degli arti inferiori, appesantiti un po’ dagli anni, ma soprattutto dalle conseguenze di due incidenti automobilistici occorsigli, non per colpa sua, molto tempo addietro, in un paio di trasferte per l’attività che ha contraddistinto la sua vita in mezzo agli emigrati trentini.

Il buon risultato delle cure è confermato dall’interessato che tuttavia non ha mai smesso di tenere contatti telefonici con le molte persone che ogni giorno s’affacciano all’uscio del suo studio di Corso 3 Novembre. Incombenze doppie per la fidata segretaria, la signora Chiara, costretta a chiarire i motivi delle assenze mattutine del datore di lavoro, tenuta comunque a dare le risposte ai bisogni di amici e clienti del dott. Fronza. “El zopèta e s’aiuta con un bastone, per il resto l’è come en guindol”, commentano gli amici. A ben vedere le incertezze nel passo sono nulla rispetto alla pratiche che ogni giorno, da volontario, sbriga soprattutto per gli emigrati che lo interpellano di persona, oppure per posta, su pensioni, eredità, cittadinanza con un giro di relazioni da capogiro: uffici, banche, studi professionali, ufficio delle entrate, patronati.

L’abbiamo incontrato nella sua abitazione in via dei Grezoni nella zona collinare di Trento. Il soggiorno modestamente ammobiliato rappresenta il secondo ufficio, più che un luogo di riposo, dove s’intrattiene con la figlia Lucia, già parlamentare Dc, ora presidente del Pd del Trentino ed esponente di spicco del Movimento dei Focolari, con suo marito Paolo Crepaz, medico sportivo (abitano in un appartamento adiacente), e con i numerosi nipoti e pronipoti. L’altra figlia, Teresa, biologa, con la quale intrattiene periodici contatti telefonici, vive a New York quale responsabile dello stesso movimento nella metropoli Usa. Una badante provvede a sbrigare le faccende domestiche.

Sulla parete accanto ad alcuni cimeli dei suoi viaggi nei cinque continenti figura una grande foto a colori della moglie Lidia Osele di Lavis, che ha portato all’altare nel 1950, scomparsa il 12 luglio del 2001 a Roma a seguito di un infortunio domestico. Lidia era e continua ad essere il suo angelo custode; passava ore in preghiera quando il marito si assentava per i frequenti viaggi ai Circoli trentino-tirolesi sparsi per tutto il mondo. Formavano una coppia fissa in parrocchiale alla messa mattutina, appuntamento che Bruno Fronza non si nega tutt’ora, nonostante qualche difficoltà nella deambulazione, prima di scendere in città.

La moglie era ancora in vita quando, con alcuni sodali, Bruno Fronza ha fondato l’associazione culturale Italia-Georgia dopo una trasferta drammatica nel Paese caucasico, all’indomani della guerra civile e dell’attentato al neopresidente Eduard Shevardnadze. La Georgia ha faticato non poco a trovare la sua strada dopo il crollo del muro di Berlino e ancor oggi appare indecisa sulle proprie scelte pro o contro Putin, il quale l’8 agosto 2008 ha impartito una dura lezione alla giovane Repubblica democratica con una guerra lampo per accaparrarsi due piccole regioni, l’Abkhazia e l’Ossezia, assurte a Repubbliche autonome sotto l’influenza russa.

In Georgia Bruno Fronza era stato invitato da un trentino, Claudio Debiasi di Ala, convolato a nozze nella sperduta terra caucasica, che per primo ha fatto conoscere i problemi economici e socio-politici del Paese, i grandi bisogni di un popolo alla ricerca faticosa di democrazia e libertà. E’ nata così una collaborazione che si protrae ormai da quasi un ventennio e che grazie al coinvolgimento di numerosi volontari, della Caritas, del vescovo Bressan e delle istituzioni pubbliche locali (Provincia e Regione) ha consentito la realizzazione di numerosi interventi umanitari.

Fronza non si è mai negato agli appelli e agli inviti di conterranei in ogni parte del mondo favorendo in tal modo i contatti con i Club nati per iniziativa sua e con i molti promossi e cresciuti sotto l’impulso dell’associazione “Trentini nel mondo”, prima come dirigente delle Acli, poi come assessore provinciale, poi quale presidente sia effettivo che onorario degli emigrati.

Se il bastone gli dà sicurezza nei trasferimenti, la memoria lo sorregge in maniera brillante. Il cellulare non lo lascia in pace. Chiamano dalle Acli impegnate a mettere insieme i tanti tasselli della sua storia pluridecennale. E’ atteso alla “Trentini nel mondo” per via della vertenza giudiziaria avviata dalla Corte dei conti su progetti e bilanci in Sud America. Risponde positivamente alle richieste di aiuto che arrivano dalla Georgia, dove sta andando bene anche l’ultimo progetto della scuola professionale di falegnameria che ha licenziato a pieni voti i primi otto allievi.

Sfoglia un quotidiano che riporta un’intervista alla figlia Lucia. La politica continua a resistere nel suo Dna con valutazioni garbate intervallate da un “te prego” se richiesto di un commento. Le quattro legislature come consigliere, poi assessore e infine vicepresidente della Regione (1952-1973), per lui nato nel 1924, con un’infanzia difficile da orfano, caparbio nello studio, laureato in scienze economiche, ne hanno accentuato l’attenzione nei confronti del mondo del lavoro e dell’emigrazione, dei loro drammi singoli, familiari e di gruppo come a Marcinelle in Belgio (8 agosto 1956) e Mattmark in Svizzera (30 agosto 1965) e dei loro inestimabili traguardi nel campo dell’integrazione nelle patrie di adozione.

Quando legge si toglie gli occhiali così come per istinto fa quando deve rispondere al telefono. I particolari dei suoi racconti di viaggi, da solo o con altri dirigenti associativi, sono vivissimi, come quando ha incontrato il Presidente della Yugoslavia Tito nel 1965. Sapeva delle sue origini trentine e del vero cognome paterno, Broz. Gli fu impedito di accennare alle origini degli avi dalle guardie del corpo. O in occasione dei primi incontri con i trentini in Cile (1969), Usa e Canada (1965) con il rag. Giacomo Dusini, assessore provinciale alla cultura, e padre Bonifacio Bolognani per l’inaugurazione nel Famedio di Washington della statua di padre Eusebio Francesco Chini, missionario in California e Messico nel 1600, in Brasile (1975) con l’assessore Guido Lorenzi e il vicario generale mons. Guido Bortolameotti per dare il via al processo di beatificazione di suor Amabile Visintainer, la beata Paolina. E prima ancora in Bosnia Erzegovina a Stivor, Macovliani, Banja Luka nel 1972. Ricorda Paesi e snocciola fatti e date come fosse nell’immediato rientro da una trasferta. Con soddisfazione cita l’attenzione degli ultimi vescovi della Diocesi (Gottardi, Sartori e Bressan) per la tematica migratoria e i loro primi viaggi missionari in Europa e nelle Americhe.

E’ infinito l’elenco di personaggi famosi e umili, di tenaci oriundi, incontrati da Fronza su tutte le strade del mondo, che hanno sempre manifestato nei suoi confronti stima e affetto.

Nel 2012 ha chiuso con i viaggi all’estero. Continua il cammino inesauribile delle sue relazioni umane quotidiane, talora accompagnate, forse in forma scaramantica, da un “putei me ritiro, son vecio”.

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