La lunga vigilia

Il primo novembre 1926 scompare ogni possibilità di opposizione politica e istituzionale al regime

“Colleghi carissimi, lascio il giornale con indicibile strazio, ma col proposito di rendere a questa che fu come la mia e la nostra creatura un ultimo servizio. Per quanto da tempo ormai fossi distratto da altre responsabilità, la mia passione era e rimaneva questo giornale, in cui sognavo di poter continuare con altre forme di diuturna battaglia. Le circostanze non lo permettono ed è giocoforza ascoltare la voce imperiosa del tempo. Supplite voi col vostro zelo e colle vostre forze, cari colleghi, perché il “Trentino” non deve morire, e tempo verrà forse in cui io possa ancora accompagnare l’opera mia alla vostra. Vi domando, a tutti, scusa delle mie impazienze. Vi ho voluto bene, e seguirò di lontano giornalmente l’opera vostra, come si segue la sorte di compagni d’arme“.

Sono le parole con le quali il 22 gennaio 1926 Alcide De Gasperi, ormai emarginato dal regime fascista da ogni partecipazione alla vita politica nazionale – negli anni precedenti era stato prima capogruppo parlamentare e poi segretario del Partito popolare fondato da don Sturzo -, annunciava ai colleghi della redazione l’abbandono della guida del quotidiano “Il Nuovo Trentino”.

Tra i destinatari della lettera vi era sicuramente il collaboratore e amico don Giulio Delugan, che lo avrebbe sostituito nella direzione e che, fino alla devastazione della sede del giornale da parte delle camicie nere il primo novembre successivo, avrebbe garantito il mantenimento della linea editoriale, improntata ad una libera lettura degli avvenimenti politici ed ecclesiali e della cronaca alla luce del magistero della Chiesa e del pensiero sociale cristiano.

Dopo la chiusura del quotidiano conseguente all’incursione, il vescovo Endrici avrebbe subito deciso di fondare un organo di stampa diocesano. Già il 23 dicembre successivo sarebbe uscito il primo numero di “Vita Trentina”, col programma di “orientare le anime verso la verità e l’equità ed a renderle vigilanti di fronte all’errore, nella confusione di idee che annebbia il mondo”. Anima del settimanale sarebbe stato ancora don Giulio, che professò una linea di difesa intransigente dei princìpi cristiani, del diritto di opinione e la ferma opposizione ad ogni dittatura.

La lettera di commiato alla redazione meglio di altre rende l’idea dello stato d’animo di un De Gasperi che, ormai considerato un avversario dal regime, viveva isolato dalla vita pubblica e controllato dalla polizia.

Erano i giorni dell’emanazione delle “leggi fascistissime” che segnarono l’esautoramento del Parlamento ed il definitivo consolidamento del regime fascista. Un consolidamento che favorì la diffusione delle organizzazioni che facevano capo al partito unico e al Gran Consiglio del fascismo.

In aprile sarebbe stato proibito per legge lo sciopero e ridefinite la prerogativa dei sindacati e delle corporazioni. In questa situazione, le opposizioni erano praticamente liquidate.

In questo clima, reso incandescente dall’attentato a Mussolini, il primo novembre vennero occupate e devastate le sedi di alcune organizzazioni cattoliche trentine, tra le quali il giornale e il sindacato agricolo. De Gasperi venne arrestato con l’accusa di non nutrire sentimenti di italianità e di opporsi al governo Mussolini.

Questi fatti tradivano una situazione di diffidenza e tensione tra il regime e l’ambiente ecclesiastico tridentino. Il vescovo Celestino Endrici si era sempre dimostrato particolarmente severo con la proposta politica e lo stile violento del fascismo. Molti sacerdoti diocesani, attenti alla formazione del laicato ed al suo impegno sociale, ispiratori delle iniziative cooperativistiche e sindacali, consapevoli propugnatori del metodo democratico nella vita pubblica, erano particolarmente invisi al regime. Tra questi, oltre alla figura del vescovo, spiccavano le personalità di Guido De Gentili, di Oreste Rauzi, di Giovanni Battista Panizza, di Vittorio Pisoni, di Giuseppe Lona, di Simone Weber, tutti particolarmente legati a De Gasperi.

Da questa data scompare ogni possibilità di opposizione politica e istituzionale e la presenza organizzata dei cattolici si limita alla militanza nelle file dell’Azione Cattolica che, seppur fortemente controllata e a tratti minacciata di scioglimento, permette la continuazione della tradizionale opera di educazione della gioventù, maturando un atteggiamento diffuso di indipendenza e resistenza morale rispetto al regime. Un atteggiamento che sarebbe diventato l’humus culturale entro il quale, durante la “lunga vigilia” di quasi vent’anni, si sarebbe formata la coscienza civile di molti spiriti liberi e forti che avrebbero sconfitto la dittatura e contribuito alla rinascita democratica del paese.

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