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Il 6 dicembre 1926 il Consiglio dei ministri decide di creare 17 nuove prefetture: la Venezia Tridentina viene così divisa in due Province, Trento e Bolzano

Il 1926 è un anno interessante anche per i rivolgimenti nell'assetto politico-amministrativo. Il 14 giugno appare all'Albo Pretorio di Trento la richiesta ufficiale al Governo del Re relativa all'unione al Comune di Trento di Cadine, Sardagna, Gardolo, Ravina, Romagnano, Cognola, Villazzano, Povo, Sopramonte e Mattarello. Ancora più significativo il provvedimento del Consiglio dei Ministri datato 6 dicembre con il quale il territorio della Venezia Tridentina viene diviso in due Province: Trento con 400 mila abitanti e Bolzano con 235 mila. Lo storico Armando Vadagnini si sofferma proprio sulla nascita della Provincia di Bolzano.

Tra i drammatici problemi da risolvere al termine della Prima guerra mondiale, per il governo italiano si poneva anche quello di dare un nuovo assetto istituzionale alle «terre redente», come allora si diceva, che tra l’altro avevano subito danni materiali di enorme gravità, essendosi venute a trovare al centro della zona delle operazioni belliche.

Nei governi liberali del tempo e negli ambienti della Corona c’era la consapevolezza della «particolarità» di quei territori? della loro secolare tradizione autonomistica? della presenza di una minoranza etnica in Alto Adige?

Sì e no. Anche su suggerimento di uomini politici trentini, all’inizio si cercò di venire incontro alle esigenze della popolazione. L’episodio più importante fu quello del 20 settembre 1920, quando la Camera discusse il disegno di legge per l’annessione della «Regione Tridentina», che prevedeva di coordinare le leggi italiane con la «legislazione vigente in quei territori e in particolare con le loro autonomie provinciali e comunali».

A questa buona volontà però non fecero seguito iniziative concrete, un po’ per la divergenza di opinioni tra i gruppi politici trentini (liberali, socialisti, popolari), molto per l’impreparazione degli ambienti politici romani, ma poi soprattutto per il cambiamento di regime avvenuto dopo la presa del potere da parte del fascismo.

Mussolini, infatti, già nel 1923 aveva assunto una serie di provvedimenti per accentrare il potere. A capo di ogni Provincia fu collocato un prefetto, «unico solo rappresentante autorità Governo nella Provincia e nessun altro fuori di lui», diceva il telegramma di nomina, con un tono enfatico, quasi a voler dare carisma a questa figura. Nello stesso tempo i comuni furono accorpati e ai loro vertici si insediarono i podestà, nominati direttamente dal governo. Tutto il territorio da Ala al Brennero fu definito con la formula di «Venezia Tridentina».

Era evidente che i discorsi sulle autonomie e sulla tutela delle minoranze ormai non avevano più alcun senso. I fascisti trentini anzi si attribuirono il dovere di fascistizzare tutto il territorio, secondo lo slogan del segretario politico del Fascio Giuseppe Stefenelli junior: «Trentino: da Ala al Brennero».

Ma quando il 6 dicembre 1926 il Consiglio dei ministri decise di creare 17 nuove prefetture, tra cui quella di Bolzano, staccandola così dal Trentino, molti fascisti trentini inghiottirono amaro. Bolzano venne creata come Provincia unica, comprendendo tutto l’Alto Adige, con le valli ladine di Gardena e Badia, ad esclusione dei comuni mistilingue, nella Bassa Atesina, legati ancora a Trento. Il primo prefetto della nuova provincia fu Umberto Ricci.

Perché Mussolini aveva preso questa decisione? Forse per lui era arrivato il momento della vendetta contro i trentini, con i quali nel 1909, durante gli otto mesi della sua permanenza nel Trentino come sindacalista, non era mai corso buon sangue. Ma più di tutto, il duce riteneva di dover gestire personalmente la penetrazione del fascismo in Alto Adige e l’assimilazione degli alloglotti, come allora erano definiti gli altoatesini di lingua tedesca. Non aveva fiducia nelle capacità dei camerati trentini, piuttosto litigiosi e spesso non in linea con le direttive del regime. Perciò il governo non si risparmiò nell’investire in Alto Adige capitali e mezzi per favorire il suo progresso economico e sociale. La creazione della zona industriale a Bolzano è l’esempio più evidente della politica del regime, impegnato a italianizzare tutto l’Alto Adige. L’equilibrio etnico fu alterato con il trasferimento massiccio di manodopera, veneta e meridionale a «Bolgiano». Questa, infatti, secondo l’uso fascista, diventò la nuova denominazione del capoluogo della nuova Provincia; esempio eclatante di come doveva procedere la snazionalizzazione dell’Alto Adige, anche puntando sullo stravolgimento della toponomastica.

Armando Vadagnini

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