“La nostra è davvero accoglienza?”

“La nostra è davvero accoglienza?”. Don Walter Sommavilla punge le coscienze con una domanda provocatoria ma sensata, che capita nella giornata mondiale del Migrante, domenica 17 gennaio. In questa occasione, l'associazione Noi Oratorio Arco, in collaborazione con Spazio Giovani e gli Scout, ha organizzato un pranzo in compagnia dei richiedenti asilo presso l'oratorio San Gabriele di Arco.

Il menù etnico – riso bianco e pollo al curry con patate – ha fatto da collante tra storie di vita diverse, riunendo intorno a una lunga tavolata 25 ragazzi arrivati dal mare e altrettanti giovani locali. Arrivati dalle residenze di Arco (della parrocchia) e della Moletta (ospitati da un privato), i richiedenti asilo si sono mescolati subito ai loro quasi coetanei con la pelle bianca, e chi in italiano chi in inglese hanno iniziato a conoscersi.

“Il primo obiettivo di questo incontro è la socializzazione e la conoscenza reciproca”, dice il presidente dell'associazione Noi Oratorio, Franco “Frank” Righi. Il vice Jacopo Spezia rincara la dose, sottolineando l'importanza di avviare un'amicizia che possa diventare una collaborazione: “Vorremmo che l'oratorio diventasse un punto di riferimento per la comunità, e quindi anche per loro, che da pochi mesi ne fanno parte”.

L'accoglienza, come rimarca don Walter, è ben altro dall'ospitare. Ne sanno qualcosa le operatrici che lavorano quotidianamente con i ragazzi. Silvia e Francesca, anch'esse invitate al pranzo, spiegano quali sono gli ostacoli maggiori per chi aspetta che i tempi della burocrazia decidano il suo futuro. “Il problema grande è quello psicologico, perché bisogna aspettare anche oltre un anno per sapere se si può restare in Italia, e il fatto che in questo periodo non possano lavorare è deleterio: si resta a rimuginare su quello che può accadere, ci si deprime”, dice Francesca.

Nei Paesi di provenienza dei migranti non esiste il concetto di burocrazia, non ci sono catasto e anagrafe, il che fa sì che non ci sia neanche il concetto di data di nascita o compleanno. E questo causa grossi problemi una volta arrivati in un mondo, quello occidentale, che ha invece bisogno di registrare ogni cosa. “Un'altra questione è quella del riconoscimento dei bambini, la questura di Trento, unica in Italia, richiede un certificato di nascita che il più delle volte non esiste”, continua Silvia. “E quindi tutta una serie di problemi nell'ottenere servizi base, come quello medico, negli uffici ci chiedono il codice fiscale, un concetto impossibile per loro. In generale bisognerebbe che gli enti dialogassero di più tra loro”.

Nonostante tutto i ragazzi, almeno per il pranzo della domenica a cui sono stati invitati, sorridono e scherzano, dimenticando per qualche ore la nostalgia per le famiglie lasciate in patria, la frustrazione dello stare in Italia senza lavorare, il disagio di avere sempre gli occhi addosso, pelle nera in mezzo a tanti bianchi. Tra un boccone e l'altro si fa amicizia, e don Walter commenta: “I progetti di integrazione funzionano quando smettono di essere interventi professionali e diventano relazione”.

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