“Continuerò a servire la Chiesa”

“Lascio una comunità cristiana unita, più fiduciosa, attiva in molti campi. Nel Trentino non mancano fermenti incoraggianti, pur nella fatica quotidiana”

No, non finirà i suoi giorni alle Sarche, nella terra che gli diede i natali il 9 febbraio 1940 e che fu patrimonio della Mensa vescovile. Monsignor Luigi Bressan, da oggi Amministratore Apostolico della Chiesa Tridentina e tra circa due mesi “arcivescovo emerito”, non ha ancora fissato la propria dimora da “pensionato” della mitra. Intanto perché non ha mai pensato a una vita da “pensionato” e poi, invece di capitalizzare, ha dato ad altri quanto poteva e ha fiducia di poter vivere in una casa di una parrocchia o della Diocesi.

Inoltre, a 76 anni, non ha alcuna intenzione di appendere il pastorale al chiodo e ritirarsi come un vecchietto fra quei francobolli trentini raccolti fin da ragazzo e qualche cimelio del nord ma soprattutto del sud del mondo dove, dal 1971 al 1999, ha fatto pratica di diplomazia fino a diventare ambasciatore del Papa dal Pakistan alla Thailandia, dal Myanmar al Brunei, in Brasile e in Africa, oltre che in Europa. Del resto, fa parte anche di alcuni organismi internazionali, i cui vertici hanno già manifestato l’auspicio di riaverlo più largamente quale consulente e componente attivo. Ma soprattutto intende proseguire l’impegno pastorale, dando una mano a qualche parroco e al nuovo vescovo: quando gli fu chiesta un’anticipazione, mi pareva fiducioso che fosse un trentino, pur negando di sapere qualcosa. Allora mancavano, infatti, ancora parecchi giorni all’annuncio ufficiale. Insomma, tra il servizio in una parrocchia e l’altra, tra cresime, incontri religiosi, qualche attività culturale, un viaggio all’estero e uno a Roma, l’arcivescovo-diplomatico non avrà tempo per annoiarsi, se la buona salute, che gli auguriamo, permane.

Ma cosa vuol dire “Amministratore Apostolico”?

E’ l’incarico che il Papa affida per reggere una diocesi nel periodo di sede vacante, fino a quando il nuovo vescovo assumerà la guida. Normalmente l’Amministratore Apostolico può provvedere a decisioni soltanto ordinarie e non straordinarie; ma il Papa può stabilire che abbia pieni “poteri”, come se fosse un vescovo residenziale.

Mons. Bressan, che diocesi lascia al successore?

“A me pare sia una comunità cristiana unita, più fiduciosa che non nel primo impatto dei cambiamenti di vent’anni fa, attiva in molti campi. Mi fa pena la crisi socio-economica e il vedere la popolazione trentina meno dinamica che nel passato. La così bassa natalità è indice di poca fiducia nella vita e nel futuro. I piagnistei però non servono. La proposta cristiana è una cultura di vita, in tutte le sue dimensioni, materiali nella solidarietà e spirituali nella vita religiosa. Nel mondo giovanile è cresciuta la partecipazione cristiana; molto si è fatto nel rinnovo della catechesi e per la collaborazione tra le parrocchie… Passi ce ne sono da fare, ma nel Trentino non mancano fermenti incoraggianti, pur nella fatica quotidiana”.

A tale proposito, in questi sedici anni di governo episcopale lei ha celebrato quasi trecento funerali di preti (278 fino al 2014) mentre, per contro, ha ordinato soltanto 31 nuovi preti.

“Mi sarebbe piaciuto molto che fosse il contrario, ma le prospettive delle vocazioni e dell’età dei nostri sacerdoti facevano prevedere questo andamento. Ammiro la generosità fedele di tanti anziani e riconosco che non sono stato capace di invertire la tendenza, tuttavia quando sono arrivato c’erano dieci seminaristi, oggi sono quattordici. Spero che almeno raddoppino con il successore e pregherò per questo. Dal 1970 troviamo la costante media di due ordinazioni sacerdotali all’anno. Altrove non stanno meglio e talvolta è peggio; ma questa non è una gioia. Ad esempio, a settembre sono stato nel bolognese per un battesimo e mi hanno chiesto se potevo inviare loro uno dei nostri due preti novelli, tanto sono in difficoltà”.

Mal comune, mezzo gaudio, verrebbe da dire…

“Questo non mi consola, ma devo riconoscere che i nostri preti sono bravi, lavoratori generosi; inoltre è cresciuta la corresponsabilità, e non soltanto la collaborazione del laicato. I laici che partecipano all’impegno ecclesiale saranno meno numerosi che nel passato ma più responsabili”.

La carenza di preti costringerà la diocesi a delegare ai laici…

“Non è questione di delegare, ma si tratta di riconoscere la loro corresponsabilità che hanno già con il battesimo e appunto, da parte loro, di prenderne coscienza e agire. All’evangelizzazione siamo tutti inviati”.

Quando è arrivato a Trento si è trovato a dover concludere la visita pastorale avviata dall’arcivescovo Sartori. Invece, non si è celebrato un Sinodo diocesano. Perché?

“Sì ho visitato pastoralmente tutti i paesi del Trentino, anche dove l’amato mons. Sartori era già passato; domandava del tempo ma è stato bello. Sul Sinodo va detto che le basi della vita diocesana, oltre ad essere state tracciate dal Concilio Vaticano II, seguivano già le indicazioni del Sinodo del 1985-1987. Si tenga presente che un Sinodo ha regole precise di partecipazione e non sembrava opportuno convocarne un altro. Abbiamo riunito, invece, un’Assemblea sinodale sul tema delle Unità pastorali”.

Già, tali Unità pastorali, alla luce dell’esperienza, si sono rivelate una risorsa, una necessità, un’invenzione, che cosa?

“L’una e l’altra cosa. Lo Spirito Santo ispira come procedere secondo le varie circostanze. Si stanno valorizzando anche piccole comunità che, diversamente, sarebbero rimaste isolate. Certe manifestazioni che un tempo si facevano solo nei centri maggiori oggi sono spostate anche nei villaggi marginali; ad esempio, le feste patronali stanno diventando patrimonio comune. In America Latina dove ci sono parrocchie vaste e popolose (anche 150mila abitanti) si è avvertita la necessità di costituire le comunità ecclesiali di base. Da noi ci sono già”.

Hanno ancora senso 452 parrocchie?

“Quelle più piccole potrebbero essere unificate, ma ad oggi la gente ci tiene a mantenerle; andare contro questo loro desiderio servirebbe per una semplificazione amministrativa, perché la comunità resta, anche se si dovesse sopprimere il titolo di parrocchia. Comunque il futuro rimane aperto”.

Rapporti con il cosiddetto Terzo mondo…

“Abbiamo proseguito un cammino già avviato da decenni, ma anche in quest’ambito ci siamo scontrati con la crisi delle vocazioni. Pertanto abbiamo pochi missionari diocesani in partenza. Tuttavia la solidarietà concreta con le Chiese non è mai venuta meno ed è alta; spero che la mia esperienza mondiale vi abbia contribuito. Abbiamo celebrato intense settimane di Festival della solidarietà; il nostro Centro missionario come la Caritas Diocesana sono molto attivi; sul territorio abbiamo oltre 200 associazioni che si interessano di solidarietà verso il cosiddetto Terzo mondo”.

Negli ultimi anni, anche la diocesi di Trento è stata interpellata dal tema, da taluni (numerosi) vissuto come problema, dell’immigrazione…

“Noi partiamo dalla convinzione che siamo tutti fratelli e sorelle. Inoltre, abbiamo l’esperienza storica di un Trentino con centinaia di migliaia di emigrati all’estero e anche come Chiesa li seguiamo ancora. Sono nostri fratelli anche coloro che arrivano. In diocesi e nelle parrocchie si sviluppano varie forme di accoglienza di immigrati e di rifugiati ed azioni che favoriscono una reciproca integrazione”.

Ma è difficile farlo capire alle comunità e soprattutto alle persone anziane.

“È difficile perché il diverso obbliga sempre a ripensarsi, a rivedersi… perché si teme che possano venir meno certe comodità e magari si debba condividere quanto faticosamente messo da parte. L’immigrazione però è anche una necessità: con la diminuzione delle nascite e l’invecchiamento della popolazione, si deve ricorrere a braccia straniere. Poi c’è la questione dei rifugiati. In un mondo che in dieci anni è passato da 35 milioni a 55 milioni di rifugiati, di sfollati per guerre, epidemie, carestie, è chiaro che anche il nostro Trentino non poteva stare semplicemente alla finestra a guardare. Ad ogni buon conto si tratta di dare ospitalità a piccole entità: l’uno per cento di coloro che chiedono asilo in Italia”.

Il Trentino è ancora una terra solidale?

“Direi di sì, sostanzialmente. Certo, poche persone bastano per gridare e far sentire la propria voce contraria; i media amplificano, talvolta, queste grida. Ma ci sono tante persone di buona volontà: generose e solidali. Riguardo alle offerte in denaro, ad esempio, il Trentino è sempre stato ai primi posti in Italia nel contributo per le opere missionarie, la più vasta rete di solidarietà internazionale. Altro esempio: tre anni fa, una ricerca ha stabilito che il 22,5% della popolazione trentina sopra i 14 anni fa parte di associazioni di volontariato sociale ed è ai vertici nazionali. La media italiana è pari a 9,7%.

C’è quindi solidarietà, c’è altruismo, volontariato gratuito. Qualcuno fa notare che la conformazione geologica delle nostre valli, i paesi di montagna, le piccole comunità, hanno favorito quella solidarietà di cui si respira ancora oggi la forza trainante. Sono convinto tuttavia che la più solida motivazione viene dalla fede e dobbiamo coltivarla, anche se vogliamo avere volontariato”.

C’è qualche iniziativa che è rammaricato di non aver preso o è pentito per avere avviato?

I desideri e gli obiettivi da raggiungere erano tanti, ma non ho molto di cui dispiacermi perché abbiamo camminato insieme, ci siamo consultati spesso e le decisioni sono state prese portando i pesi e anche le soddisfazioni”.

I rapporti con la politica come sono stati?

“Sostanzialmente distesi e costruttivi; ognuno esprime i propri punti di vista, come è giusto che sia e agisce nel suo campo. Abbiamo promosso corresponsabilità nei settori sociali e politici, anche con una Scuola sociale ad hoc”.

E adesso che cosa farà?

“Per ora continuo a ‘fare il vescovo’, aiutando il successore a prepararsi al suo compito. Poi desidero si senta libero da ogni mio condizionamento e io continuerò a ‘fare il prete’ cioè a collaborare in questa Chiesa di Trento che mi ha generato alla fede, sostenuto e provocato ad essere migliore. Mi dedicherò ai compiti pastorali e spero di avere più tempo per pregare di più”.

Riprenderà a fare il “commesso viaggiatore” per conto del Vaticano?

“I termini sono piuttosto riduttivi circa la missione di un rappresentante pontificio. Comunque, ora non ho incarichi dalla Santa Sede, ma qualche viaggio probabilmente lo farò, forse anche a nome dell’arcidiocesi, se il nuovo vescovo vorrà. Faccio già parte di due organismi internazionali: la Conferenza Mondiale delle Religioni per la Pace e il Consiglio Europeo dei Leader Religiosi. Proseguirò nel dialogo inter-religioso anche con qualche ricerca personale come ad esempio circa la devozione a Maria, su Bibbia e Corano e altro ancora. Accanto alla carità materiale e spirituale spero di contribuire così ben modestamente a quella intellettuale. Non vorrei diventare un pensionato inerte, anche se dovrò concedere riposo al corpo, ma vedo che i nostri preti non ne prendono”.

Mons. Bressan lascia la cattedra di San Vigilio con l’occhio umido e il groppo in gola o con un sospiro di sollievo?

“Quando il nuovo vescovo assumerà la direzione dell’arcidiocesi, spero di compiere il passaggio con molta tranquillità d’animo. Ho fatto quello che potevo; certo si doveva fare meglio, ma ho fatto quanto era nelle mie possibilità, nelle situazioni concrete, passo dopo passo. Non mi sento attaccato a una casa, ad un posto in duomo, ad un tipo di auto, anche se ogni cambio domanda un po’ di sacrificio e l’emozione umana ci sarà. Il mio attaccamento è a Cristo, e con lui mi piace parlare, e lo posso fare dappertutto. Mi sono sentito circondato anche da affetto e comprensione della gente, di collaboratori e collaboratrici e, ben inteso, dai numerosi familiari. Sono loro riconoscente. Dopotutto siamo ‘servi inutili’ che soltanto rispondono, come possono, ad un Amore più grande che ci precede, ci accompagna e sa colmare le nostre lacune”.

Come vorrebbe essere ricordato dalla Comunità trentina?

“Con la preghiera e come un fratello che ha cercato di servire gli altri nella riconoscenza a Cristo che ci ama e nella fedeltà alla Chiesa e al Papa. E’ quanto cercherò di continuare a fare. Non sono inquieto per giudizi umani immediati; penso che non possono essere oggettivi che dopo cinquant’anni dalla morte di una persona. Intanto assumo la missione affidatami da Dio tramite il Papa per il suo Regno che cerco di far progredire e contemplarlo, un giorno, nella sua pienezza in cielo… e vorrei che a suo tempo con me venissero lassù tutti i trentini”.

(a cura di)

vitaTrentina

Lascia una recensione

avatar
  Subscribe  
Notificami
vitaTrentina

I nostri eventi

vitaTrentina