Una politica in panne

La vicenda del disegno di legge sulle unioni civili è una brutta pagina della politica italiana, perché dimostra tutta la crisi dei partiti nel guidare le trasformazioni della società civile considerandole nel contesto mondiale. L’argomento è difficile, perché muove sentimenti oltre che opinioni ragionate e chiama in causa, in un mix non propriamente salutare, valutazioni morali ed esigenze politiche. Nonostante questo cercheremo di analizzarlo con il dovuto distacco.

La prima cosa da osservare è che siamo di fronte ad una problematica che è da lungo tempo presente nel nostro paese e che riguarda modi di organizzazione dei rapporti affettivi di convivenza e di condivisione che non vogliono o non possono essere assimilati a quelli della famiglia così come si è affermata negli ultimi secoli (perché prima la famiglia non era di regola mononucleare e non si basava necessariamente su un forte legame di tipo affettivo). La presenza di questo rifiuto di far passare le convivenze di tipo affettivo attraverso l’istituto civile del matrimonio (ovviamente il sacramento cristiano è altra cosa) riguarda un numero non piccolo di coppie eterosessuali. Anche queste sono oggetto di discriminazioni nei diritti individuali difficilmente accettabili: pensiamo anche solo alla negazione del diritto di assistenza diretta al partner malato grave.

A questo si aggiunge il tema delle coppie omosessuali, per cui non si può parlare nel senso comunemente assunto di istituzioni “familiari”, mentre si riconosce in esse la presenza di forti vincoli affettivi non diversamente da quelli presenti nelle eterosessuali.

La necessità di dare una sistemazione giuridica a questo universo è oggi ampiamente riconosciuta, perché è nell’interesse del sistema sociale non lasciare zone che non sono normate dal diritto: a tutela tanto dei singoli quanto della società. Purtroppo per una serie di vicende, non tutte commendevoli, i precedenti tentativi di regolare queste fenomenologie in maniera razionale non sono andati a buon fine. Ciò ha determinato l’incancrenirsi della questione in una sterile contrapposizione di integralismi che non giovano a nessuno e men che meno alla soluzione del problema nel quadro di un ordinamento giuridico.

Oggi si sconta l’incapacità dei partiti di prendere in mano questo delicato problema e di produrre una legislazione che trovi un’ampia base di consenso (un consenso totale è impossibile: i guardiani delle ortodossie dell’una e dell’altra parte non intendono ragione). Tutti hanno, ci si passi il termine, fatto i furbi, illudendosi che si potesse lasciare la cosa nelle mani delle dialettiche parlamentari in cui far sfogare le varie irrazionalità, per poi arrivare ad un qualche compromesso che rapidamente sarebbe stato fagocitato dall’andamento normale della vita pubblica (che ha, vogliamo ricordarlo, problemi ben più drammatici e più generali con cui fare i conti).

Non è andata così, perché lasciando una materia tanto delicata nelle mani delle passioni popolari si è finiti nel classico vortice che trascina tutto con sé. La classe politica è caduta vittima delle diverse piazze e dei media che hanno trovato una ottima materia per drammatizzare i racconti, producendo una specie di “giostra parlamentare” da cui non si sa come uscire, perché alla fine tutti rimangono incatenati alle parti che si sono lasciati assegnare in essa.

Al momento in cui scriviamo è impossibile prevedere come andrà a finire. Attualmente sono stati bruciati i ponti alle spalle di ogni componente e domina in tutti i campi la paura di fare la figura di quelli che perdono, che si arrendono, che tradiscono presunti ideali irrinunciabili. Naturalmente non stupisce che in questo gioco si buttino tutti quei raggruppamenti che oggi sono minoritari sul piano del consenso elettorale e che dunque hanno bisogno di fidelizzarsi il maggior numero possibile di consenso. E’ più preoccupante notare che i partiti maggiori non riescano a trovare un accordo per fermare questo scontro che alla fine porterà solo ad un lungo strascico di polemiche comunque vada a finire.

Renzi ha sbagliato ad andare platealmente in Argentina mentre si sta svolgendo questo confronto distruttivo e le tifoserie che spingono i vari parlamentari al “vincere o morire” sembrano non capire che un paese come il nostro che dovrà misurarsi presto con problemi enormi (nuova crisi dei profughi, indebolimento dell’Europa, possibile guerra in Libia, tensioni nel sistema finanziario, ecc.) non può davvero permettersi di lasciar sfilacciare il consenso pubblico con un ulteriore incremento della diffidenza se non del ripudio per l’azione della politica.

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