Le radici nella croce

La forza trasfigurate dell'amore, la fiducia nella resurrezione, lo stile del cristiano. Risonanze dal convegno biblico nazionale organizzato dallo STAT

"Dentro al sepolcro le donne sentono risuonare la forza di una parola che annuncia la ripresa della relazione con Gesù e l'esperienza reale di incontro con il risorto. Infatti, egli mantiene la promessa nonostante il fallimento umano e questo è un lieto annuncio per chi abita con fiducia e coraggio il vuoto e il silenzio della morte".

Si è concluso con le parole di Maurizio Guidi della Pontificia Università Gregoriana di Roma "La speranza della Croce: stile del cristiano", il convegno biblico nazionale organizzato dallo Stat svoltosi lunedì 29 febbraio e martedì 1 marzo nella sala, affollatissima, del Polo culturale diocesano Vigilianum di via Endrici. Un'occasione significativa di approfondimento teologico suddiviso in tre momenti – passione, croce e risurrezione -, che, attraverso la riflessione di alcuni professori dello Stat e relatori qualificati, ha anticipato la celebrazione del triduo pasquale ricordando il motto scelto dal vescovo eletto Lauro Tisi "Il Verbo si è fatto carne", come ha sottolineato il direttore dello Stat, mons. Giulio Viviani, nel saluto che ha dato inizio ai lavori, e ispirandosi a quanto detto da Papa Francesco nell'Angelus del 14 settembre 2014: "E quando volgiamo lo sguardo alla Croce dove Gesù è stato inchiodato, contempliamo il segno dell'amore infinito di Dio per ciascuno di noi e la radice della nostra salvezza. Per mezzo della Croce di Cristo è sconfitta la morte, ci è donata la vita, restituita la speranza". Speranza che è cammino verso la risurrezione e ha trovato espressione anche nel linguaggio musicale con "Le ultime sette parole del nostro Redentore in croce" di Haydn, concerto eseguito dall'Ensemble Zandonai e dall'Orchestra da camera di Trento nella serata di lunedì nella chiesa del Santissimo.

Al saluto del professor Leonardo Paris, coordinatore del Vigilianum – "volto dialogante della Chiesa con la città, il territorio, le scuole" -, di Paola Tomasi, direttrice della Biblioteca diocesana e di Katia Pizzini, vice-direttrice dell'Archivio diocesano, è seguito il primo momento con le riflessioni di Giulio Michelini dell'Istituto Teologico di Assisi – "i racconti della Passione sono oggetto di molti studi con interpretazioni anche contraddittorie, ma non dobbiamo avere paraocchi teologici" – e di Massimo Grilli della Pontificia Università Gregoriana di Roma che ha presentato il racconto della Passione di Giovanni. "Sulla croce tutto sembra finito, invece essa è manifestazione della gloria di Dio e da essa si irradia una salvezza che è fondata sull'oblazione. Gesù, infatti, non è vittima che subisce gli eventi, ma sovrano che dona la vita liberamente e sa di realizzare il progetto del Padre".

In Giovanni dunque lo sguardo è puntato sulla forza trasfigurante dell'amore e sulla croce come testimonianza della fiducia nel Dio che porta tutto a compimento. "Il dolore trova la metafora più appropriata nelle doglie di una partoriente che vive un'esperienza di pienezza e al tempo stesso di fragilità, di partecipazione alla potenza creatrice divina e di minaccia incombente e mostra che, anche se devastata dal patire, un'esistenza vissuta nell'amore ha senso e che il dolore, pur restando un mistero, può diventare luogo d'incontro con Dio".

"Più che contemplare le sue piaghe, dobbiamo soffermarci sull'abbandono incondizionato di Gesù al Padre e sulle virtù che ha testimoniato nella sua Passione", ha detto Paul Renner dello Stab (Studio Teologico accademico di Bressanone), invitando a interrogarci sui "crocifissi della storia" e offrendo numerosi spunti di attualizzazione della Via Crucis, intesa come Via Lucis.

"La storia della comunità narrata negli Atti è importante perché mostra che la comunità è andata avanti anche senza Gesù – ha detto infine Carlo Broccardo, docente alla Facoltà teologica del Triveneto di Padova -: pur non essendoci più fisicamente, il Signore è presente in chi crede in lui e, anche se sperimentiamo la sua assenza, possiamo vivere nella speranza perché, assumendo il suo stile, siamo noi stessi a renderlo presente ancora oggi".

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