“Moriremo di App”

“Noi artigiani, maggioranza silenziosa dell'economia trentina, dimenticati dalla politica”

“Io no. Lo voleva mio padre, primario di radiologia ad Arco e Riva. Mia madre era infermiera. Capisce che…”. E' un medico mancato, Roberto De Laurentis. Strenuamente mancato. Perché in quella facoltà, a Padova, imposta in alternativa all'agognata filosofia, dovette resistere per quattro anni. “Poi uno esplode. Così tornai a casa”.

Era già a buon punto, perché tanta contrarietà?

Credo sia la facoltà più sciocca in assoluto perché non c'è nessun ragionamento. Devi imparare tutto a memoria e poi vai in un pronto soccorso a fare macelleria bassa…

Addirittura! Guardi che fioccano i messaggi dei medici…

Il politicamente corretto non mi appartiene. Comunque tornai ad Arco a fare l'operaio in una ditta chimica (l'Aquafil, n.d.r.) dove tutti mi davano del “lei” perché avevo la maturità classica. Poi mi proposero di fare informatica: non ne sapevo nulla, ma dopo due mesi di corso ero già pronto. Sono come quelli che non sanno leggere uno spartito, ma con una chitarra in mano riescono a far cantare la gente. Così divenni responsabile del gruppo, finché litigai, come capita spesso nella vita quando si ha il coraggio di dire le cose come stanno e cambiai azienda (andò all'Arcese, n.d.r.). Nel 1982 ho iniziato per conto mio.

Seguono trentaquattro anni da piccolo imprenditore informatico, con la sua Sima srl. Oggi?

Diamo lavoro a quarantadue persone. Con le quali sono un capo giustamente antipatico, come tutti i capi, ma molto rispettato come quelli che rispettano la propria gente. Non amo le persone che fanno da sgabello, quindi in azienda grandi discussioni e grande rispetto morale. Si può essere di idee diverse, ma andiamo nella stessa direzione.

Ci sarà pure una guida a cui deve qualche “grazie”?

Mia madre, origine tedesca. Perché mi ha insegnato tutto ciò che mi è servito. A tre anni a leggere e scrivere ed esercitare la memoria con le poesia. Lei aveva dovuto smettere in terza “avviamento” perché bisognava vivere. Recitavamo insieme ad alta voce testi da Leopardi a Foscolo, il mio preferito.

E' un buon lettore?

Lo ero. I carichi di lavoro mio portano ad essere talmente stanco alla sera che non ce la faccio.

Nulla sul comodino?

Sì, un saggio sugli italiani che si piangono troppo addosso. Basta andare all'estero e vedi che la sera puoi andare a letto tranquillo perché c'è chi sta molto peggio di noi.

A partire da che cosa?

Dalla capacità di dare servizi, quella che gli altri non hanno. Ciò che per loro è ordine, per me è incapacità di uscire dagli sbarramenti.

Dal 2009 alla guida della principale associazione trentina di artigiani e piccole imprese. A dispetto di tanti cattivi profeti?

Venni eletto il 14 luglio, lo stesso giorno della presa della Bastiglia! Mi dissero: “Tu non farai mai il presidente perché sei informatico, hai cognome terrone e, terzo, non bevi”. Non ne hanno azzeccata una.

Come la racconta la sua associazione?

9958 imprese su tredicimila circa iscritte all'albo della Camera di commercio, trentanove mestieri diversi, trentasettemila persone occupate tra titolari e collaboratori. La crisi pesa, negli ultimi sette anni abbiamo perso cinquecento imprese. Noi, a parte l'edilizia, per tutto il resto abbiamo tenuto e siamo gli unici.

Gli artigiani sono additati tra i primi attori dell'evasione fiscale. Come ribatte?

Primo, noi riempiamo le associazioni di volontariato. E se c'è da partire non lo fanno mai commercianti o industriali, ma operai o artigiani. Ammetto: c'è stata la pessima abitudine di evadere le tasse, ma anche perché spesso te lo chiede il cliente. Il problema resta la tassazione: è il 44,5 sull'impresa a cui si aggiunge un 23% personale come imprenditore. Su cento euro, ne pago sessantasette di tasse. Se avessimo il 30% di tassazione come in Carinzia, nessuno rischierebbe la galera per evadere.

Gli studi di settore hanno fallito?

Sono come lo stesso abito messo lo stesso giorno a Capo Passero con 35 gradi o sulla vetta d'Italia con meno quattro.

La richiesta inevasa e che più le preme, sul tavolo in Piazza Dante?

La piccola impresa è sotto-stimata e poco aiutata rispetto alla grande impresa che robotizza e non crea posti. Siamo una maggioranza silenziosa, la categoria economica più rilevante del Trentino, ma che conta pochissimo. Chiediamo molta più attenzione verso le imprese del territorio. Se qualcuno vale di più glielo devi riconoscere.

Tradotto?

Un esempio: con ventisette imprese del legno trentino già certificate con Habitech, abbiamo chiesto alla politica di fare bandi appositi e premiare chi ha queste capacità. Finora non ne è uscito uno. In compenso da quattro anni quelle aziende continuano a pagare la quota.

Consiglio a chi ci prova: il settore in cui investire e quello da abbandonare?

Stiamo saturando quello dei servizi e stiamo diventando tutti quanti dei beni di consumo, delle gigantesche “App” (applicazioni soprattutto per smartphone, n.d.r.) viventi. Perché la parte dei servizi deve avere anche, per contro, imprese manifatturiere, che producono. Mi da fastidio vedere, lo dico da presidente dell'US Arco, che ad esempio non comperiamo palloni in Pakistan facendo le battaglie contro il lavoro minorile, e ci sta. Ma poi scopriamo che l'intimo che indossiamo arriva tutto da lì.

Insomma il re del terziario, della tecnologia informatica, rinnega se stesso?

Prima o poi ci verrà la nausea, moriremo di “App”. Dovremmo rivedere tutto, altrimenti ci verrà imposto. Oggi vai sui social a chiedere un'amicizia fasulla e poi non sei capace di uscire per qualcosa che riguarda il tuo Comune o demandi a chi ti suona il campanello di casa solo per carpirti un voto.

Lei era fiero comunista. Come inversione politica non c'è male…

Non esistono più destra o sinistra, come cantava Gaber. Io sono alla ricerca anche in politica di Uomini con la “U” maiuscola. Non ne vedo tanti.

Quelli formati dall’esperienza sportiva, vissuta ora da dirigente?

Dello sport ho sempre amato la vita di spogliatoio: ti fa fare gli amici veri, che vedi magari una volta all'anno ma che ci sono tutta la vita.

Lei è presidente di una RSA. Paura di invecchiare?

Scherzando dico che mi sto preparando un posto… In verità, non avendo avuto figli non ho mai percepito molto il passare del tempo, perché non ho visto crescere nessuno nei miei trentatré anni di matrimonio. Però mi sono accorto di essere invecchiato guardando i ragazzi del calcio. Sentivo: “Mi dice mio padre di portarle i saluti”. Ora: “Mi ha detto mio nonno di salutarla”…

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