Migrazioni, la memoria delle vittime

Il card. Montenegro: “L'immigrazione non è il male, è il sintomo! Il male è lo squilibrio tra paesi ricchi e paesi poveri”

Ogni anno, il 3 ottobre, l'Italia si fermerà per ricordare i 368 immigrati morti al largo di Lampedusa nel 2013. La giornata in memoria delle vittime dell'immigrazione è stata salutata dalla presidente della Camera, Laura Boldrini, come “un segno di civiltà”, mentre il presidente del Senato, Pietro Grasso, ha invitato l'Europa a “superare egoismi e divisioni: dobbiamo ricordare le vittime ma, soprattutto, agire per evitare che altre migliaia di persone trovino la morte nei nostri mari”.

Il cardinale Francesco Montenegro, arcivescovo di Agrigento, in quei giorni era a Lampedusa, sul molo. Ci è tornato più e più volte, in questi anni. Lo scorso 17 gennaio, Giornata del migrante e del rifugiato, ha benedetto la “Porta d’Europa”, un’opera d’arte realizzata sugli scogli di Lampedusa e che adesso è luogo giubilare.

“Quando ti trovi davanti a 366 bare, una accanto all'altra, ti senti schiacciato. Vivere quelle giornate al molo, vedere arrivare quelle sacche, ti mette in crisi, come uomo e anche nell'esperienza di fede. Cosa mi ha salvato? Le lacrime di un poliziotto che piangeva come un bambino, gli occhi lucidi dei soldati che raccoglievano i corpi dalle navi e li adagiavano a terra. Ma anche le medagliette e i crocifissi che tanti di quelli che arrivavano avevano ancora in bocca. Alcuni sono stati trovati nella barca con le mani giunte in ginocchio. Ecco, prima di dire che sono tutti terroristi, che vengono a toglierci il lavoro, bisognerebbe fermarsi a riflettere. Istituire una giornata del ricordo è scelta apprezzabile, ma non basta a mettere a posto le coscienze. Il Mediterraneo la chiamo la più grande tomba liquida che ci sia, 25 mila morti contati e almeno altrettanti che contati non sono… se non cambiamo comportamenti, le lapidi servono a poco”.

Oggi Lampedusa che cos'è?

“È diventata il simbolo dell'immigrazione, il luogo dove avvengono ancora più sbarchi anche se i naufragi, ormai, li contiamo vicino alle coste libiche. Per molti questa isola ha significato la vita, per tanti la morte. Il nome stesso è contraddittorio, può significare scoglio o faro, luce a seconda che si legga in latino o in greco. E infatti è l'uno e l'altro… è il nord dell'Africa e il sud estremo dell'Europa”.

Cosa si può chiedere a un'Europa che erige muri contro i migranti?

“Io credo che non dovrebbe essere difficile per l'Europa, con la ragione, riuscire ad affrontare questo problema. Il vero problema è capire che l'immigrazione non è il male, è il sintomo! Il male più grande che dobbiamo affrontare è l'ingiustizia, lo squilibrio tra paesi ricchi e paesi poveri. Cosa fare? Intanto finiamola di fare i colonizzatori e iniziamo a creare rapporti paritari. Non è possibile che noi acquistiamo da loro le materie prime e diventiamo più ricchi, loro ce le vendono e si impoveriscono…”.

La Germania ha aperto le frontiere ai siriani in fuga dalla guerra…

“Bene. Ma non vorrei che fosse perché portano denaro e professionalità… e gli altri? Perché un sub-sahariano che viene perché non ha niente da mangiare lo devo rimandare indietro? Anche la fame è un male terribile! Ci fa comodo ‘scegliere’ chi accogliere e chi respingere, ma se accettiamo questa logica non sorprendiamoci se poi nelle nostre società evolute si comincia a guardare con fastidio all'anziano, al disabile. Quanto più diventerà ‘normale’ questo modo di agire, tanto più ci ricadrà addosso e prima o poi saremo noi a pagarne il prezzo”.

Il Papa non si stanca di chiedere all'Europa un cambio di passo. Riscuote grande credito e seguito, ma pochi risultati…

“Se il Papa dovesse finire di battere questo chiodo, in molti ci gireremmo dall'altra parte. Così invece ci obbliga a pensare, noi per primi come cristiani. Perché anche come Chiesa abbiamo il bisogno di allargare i nostri orizzonti, di continuare ad approfondire la cultura dell'accoglienza”.

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