Sottoterra!

Il lavoro dei minatori trentini in Belgio nella mostra documentaria della Fondazione Museo storico

I salari sembravano buoni. Erano previsti pure gli assegni famigliari, le ferie e la casa. I manifesti che propagandavano l’iniziativa e gli emissari che arrivavano da nord sapevano essere convincenti. E poi, nell’Italia del secondo dopoguerra, uscita da un conflitto devastante, lavoro non ce n’era e la miseria era la condizione pressoché generalizzata. Il boom economico era di là da venire. Tante alternative, se non quella dell’emigrazione, non erano alle porte. Dal 1946 al 1961 più di 200 mila italiani, tra i quali diverse centinaia di trentini delle valli di Cembra e di Non, delle Giudicarie e della Valsugana, dell’Alto Garda, della Vallarsa e di Lavarone, presero la via di Milano e da qui, in treno, si diressero verso i bacini carboniferi belgi.

“Sottoterra. Il lavoro dei minatori trentini in Belgio e l’opera di Calisto Peretti”, mostra documentaria organizzata dalla Fondazione Museo storico del Trentino inaugurata da poco e che andrà avanti, nelle Gallerie di Piedicastello a Trento, fino al 26 giugno (ingresso libero, apertura dal martedì alla domenica dalle 9 alle 18) ne racconta l’epopea.

Il documentarista Tommaso Pasquini e Vittorino Rodaro, ex sindacalista, già responsabile dell’ufficio della Provincia di Trento a Bruxelles, ora in pensione, hanno curato l’esposizione tra oggetti del lavoro, testimonianze, fotografie, video e documenti. Grazie anche al contributo della Provincia di Trento e alla collaborazione del museo di Blegny-Mine, uno dei maggiori siti carboniferi della Vallonia.

Il Belgio aveva bisogno di manodopera, di “porre freno” ad una classe operaia ritenuta troppo sindacalizzata e poco disposta a farsi sfruttare in maniera disumana, depotenziandola con un “esercito di riserva” più docile. L’Italia era (lo è ancora) priva di materie prime. Il protocollo firmato dal Belgio, dove già risiedevano circa 30 mila italiani e il governo guidato dal trentino Alcide Degasperi, prevedeva che ogni mese sarebbero entrate in Italia 2500 tonnellate di carbone per ogni 1000 minatori impiegati se la produzione fosse stata minore a 1 milione e 750 mila tonnellate ogni trenta giorni. Tonnellate che sarebbero salite a 3500 se il quantitativo oscillava tra 1.750 mila e 2 milioni di tonnellate per arrivare a 5000 superando i 2 milioni di tonnellate mensili. E poi c’erano le rimesse, una boccata d’aria per una nazione a terra.

Gli italiani arrivarono in Belgio e vennero sprofondarti fino a 1000 metri di profondità, la casa era una “cantina”, il vitto e l’alloggio si pagava, il salario dipendeva dalla produzione, la silicosi devastò e, nel corso del tempo, portò alla fossa migliaia di minatori per non dire dei morti causati dalle frane, dal grisou, dalle esplosioni, dalle cadute nei pozzi. In molti scapparono, altri riuscirono a portare al nord le famiglie.

Alcuni preti, anche trentini, cercarono di alleviare quelle sofferenze infinite creando aggregazione e istituendo l’Università operaia.

Calisto Peretti, nato in Belgio da una famiglia di origini vicentine, artista-operaio, documentò l’inferno in tanti disegni (una selezione è in mostra).

La tragedia di Marcinelle, nel 1956, 262 morti, la maggior parte italiani, segnò un cambio di passo. Resta una pagina vergognosa, consegnata alla storia e alla memoria, dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo.

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