Romero, un faro che illumina la notte

Papa Francesco ne ha riconosciuto il martirio in odium fidei, indicandolo come “luce della Chiesa latinoamericana”

Lasciarsi inquietare. Cambiare. Convertire. Sono tre i verbi che dettano il respiro di un'evoluzione spirituale imposta dalle circostanze, resa urgente dal massacro che si stava consumando davanti ai suoi occhi, ma poi abbracciata scegliendo di stare dalla parte dei poveri fino al sacrificio della morte. Monsignor Oscar Romero non era un rivoluzionario, tutt'altro, ma si è lasciato coinvolgere e turbare dalle sofferenze e dalle ingiustizie patite dal popolo di San Salvador, vittima della guerra civile e della dittatura militare, al punto da rischiare consapevolmente la vita, come ha evidenziato il giornalista Paolo Ghezzi nell'introdurre la presentazione di “Monsignor Romero, martire per il popolo. Gli ultimi giorni nel racconto del diario” (La Meridiana, 2016), di Francesco Comina, svoltasi nella chiesa di San Carlo Borromeo a Trento lo scorso 30 marzo.

L'incontro, promosso dall'Associazione "Oscar Romero" per ricordare l'anniversario della morte del vescovo, avvenuta il 24 marzo 1980, ha offerto l'occasione per ascoltare e riscoprire la storia di un uomo che per il Salvador è stato fin da subito Santo d'America, ma, scriveva padre Turoldo, "ucciso infinite volte dal loro piombo e dal nostro silenzio". Solo Papa Francesco ne ha riconosciuto il martirio in odium fidei considerandolo "luce della Chiesa latinoamericana, popolo di Dio che riconosce i propri profeti che ispirano e mostrano il cammino della fede", come si legge nella prefazione di Adolfo Pérez Esquivel, premio Nobel per la pace 1980, autorizzandone la beatificazione, il 23 maggio 2015.

Accompagnato dalle intense letture tratte dal libro di Mara Da Roit, Comina ha raccontato i momenti salienti del cammino di Romero, sottolineando il suo continuo prodigarsi per cercare di contrastare la violenza del regime militare che guidava il Paese con l'unica arma della resistenza pacifica, disarmata ma attiva e dinamica. Pur bersagliato da accuse infamanti ed esposto a continue minacce di morte, egli, infatti, portò avanti un'evangelizzazione a tutto campo a favore dei poveri e creando un ufficio dedicato al loro sostegno giuridico e poi un settimanale diocesano e una radio al servizio di una reale informazione, raccontando i fatti, elencando i nomi delle vittime, denunciando i responsabili degli omicidi.

Il libro ripercorre il travaglio interiore degli ultimi due anni di vita dell'arcivescovo, raccogliendo le meditazioni registrate al magnetofono dal 31 marzo 1978 al 20 marzo 1980, giorno in cui si interrompe il diario.

Sono riflessioni toccanti, quelle di un uomo solo in dialogo con se stesso. Parole dettate nel cuore della notte in cui è sprofondata la sua terra, martoriata da omicidi, rapimenti, sparizioni, torture, in un crescendo drammatico di violenza che non lascia spazio ad alcuna speranza mentre cala anche il buio di una amara notte personale. Romero affronta l'ostilità degli stessi confratelli vescovi, la freddezza di Papa Giovanni Paolo II di fronte alla denuncia degli abusi, l'indifferenza del presidente americano Carter a cui il 10 febbraio 1980 scrive una lettera che rimane grido inascoltato. Tuttavia non viene meno al suo impegno e, ad un certo punto, diventa egli stesso guida e faro che illumina le tenebre, "testa pensante e cuore resistente di un popolo intero, che sperimenta una solitudine esistenziale paradossalmente affollata di vite, quelle di migliaia di persone sole e indifese, con cui condivide il destino di morte che lo porterà al martirio".

Un libro importante perché racconta come Romero ha vissuto la sua vita, restando fedele fino alla fine all'insegnamento di Gesù. "Sì, mi hanno spesso minacciato di morte, ma devo dirvi che come cristiano non credo nella morte senza resurrezione. Se mi uccideranno, resusciterò nel popolo salvadoregno. Un vescovo può morire, ma la Chiesa di Dio, che è il popolo, non cesserà mai di esistere".

"L'omelia del 23 marzo, in Cattedrale, il giorno prima di essere ucciso da un cecchino mentre celebrava l'eucarestia, è ancora oggi la roccia su cui si fonda l'obiezione di coscienza – ha concluso Comina -. Nessuno prima aveva mai pronunciato parole così dure, profonde, e dall'interno di uno scenario di guerra, parole che sono monito e testimonianza, invito a obiettare contro ordini ingiusti, immorali, disumani che conserva intatta forza e attualità".

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