Renzi al secondo round

Renzi lavora ad usare i poteri del governo per affrontare problemi concreti in modo sia da acquisire consenso, sia da garantirsi pubblicità. Funzionerà?

Gli esami non finiscono mai, dice il titolo di una commedia di Eduardo De Filippo. Neppure le disfide politiche, almeno nel nostro paese. Così appena chiusa la partita sul referendum anti trivelle Renzi affronta la prova di due mozioni di sfiducia al Senato. Poi senz’altro arriveranno quella delle elezioni amministrative e infine quella del referendum confermativo della riforma costituzionale. Non è detto che in mezzo non se ne infili qualcun’altra, così tanto per sfruttare qualche opportunità si presentasse nel frattempo.

Dalla prova referendaria Renzi è uscito bene, anche se i suoi oppositori cantano vittoria, ma è la solita strategia per consolarsi. In realtà qualcosa vorrà pur dire il fatto che in nessuna regione si sia sfiorato il quorum, tranne raggiungerlo in Basilicata (e lì forse qualche responsabilità ce l’ha anche il PD, perché l’on. Roberto Speranza, uno degli oppositori di Renzi e sostenitore del sì al referendum, non solo è di Potenza, ma è stato anche segretario regionale del partito). Certamente 13 milioni di voti di supporto al quesito referendario non sono poca cosa, ma bisogna poi vedere se si tratta davvero di un blocco compatto che vuol mandare a casa l’attuale premier o se è un raggruppamento composito incapace di durare.

Una qualche spia dell’esistenza o meno di blocchi antigovernativi “a prescindere” si potrebbe avere alle prossime amministrative. Per esempio a Roma o a Milano si vedrà se opposizione di destra e opposizione di sinistra sono disponibili a votare insieme pur di dare un colpo a Renzi. Probabilmente i loro dirigenti non avrebbero problemi, ma la cosa non è così certa per i loro elettori.

Intanto il premier deve fare i conti con un fronte avversario radicalizzato, mentre non si riesce del tutto a capire se nel paese i suoi simpatizzanti sono pronti a scendere con lui sul terreno di battaglia. Disertare le urne per un referendum pasticciato non è difficile. Mobilitarsi a favore di una riforma dai contorni certo non facili da cogliere come è quella costituzionale è un altro paio di maniche. E lì il quorum non c’è.

Il premier però non dorme sugli allori. Se la strategia che sembra in fase di avvio funzionerà o meno è da vedersi, ma intanto qualcosa si muove. Sul fronte della grande sceneggiata di cui ormai la politica non riesce a fare a meno, Renzi sceglie decisamente una strategia di attacco. Il suo discorso al Senato contro la mozione di sfiducia è stato giocato tutto all’attacco, con la consueta efficacia narrativa e puntando decisamente sulla provocazione verso gli avversari. I quali ci sono caduti in pieno regalandogli attacchi furibondi, di modesta levatura retorica (quello del Cinque Stelle al Senato è stato ad un livello persino sotto alle diatribe da bar), tesi a dipingerlo come un farabutto capo di una banda di farabutti. Notoriamente sono tattiche che convincono solo coloro che erano già convinti e dunque non fanno fare molti passi avanti.

Invece Renzi lavora ad usare i poteri del governo per affrontare problemi concreti in modo sia da acquisire consenso, sia da garantirsi pubblicità. Sta varando un provvedimento che venga incontro completamente ai truffati dalle banche fallite, studia misure di miglioramento delle pensioni, promette interventi a sostegno della disoccupazione giovanile. In contemporanea cerca di mostrare che si fa carico in maniera creativa del problema del governo dei flussi migratori (la proposta di eurobond europei per creare sviluppo in Africa), che non tralascia la politica estera (visita in Iran, una boccata di ossigeno per il nostro export), e altri interventi minori.

Basterà? Difficile dirlo, perché molto dipende anche da qualche colpo di fortuna (se, per esempio, si sbloccasse la vicenda dei marò in India, cosa non impossibile, sarebbe un bel colpo per lui) e soprattutto dalla capacità di far arrivare i messaggi alla pubblica opinione: impresa non facile in tempi di relativa depressione dello spirito pubblico.

Di sicuro Renzi è agevolato dalla confusione che regna nel campo dei suoi avversari. Il tramonto di Berlusconi e la posizione ambigua della Lega, che da un lato non può rinunciare al suo populismo estremista e dall’altro cerca di legittimarsi con proposte accattivanti anche per l’opinione moderata, al momento certificano lo stato di difficoltà del centro destra. Quanto alla estrema sinistra, interna ed esterna al PD, non si va oltre la stanca ripetizione di vecchi slogan: un po’ poco perché la si veda come una alternativa di governo.

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