Cristianesimo: masochismo o libertà?

Zaccaria 12,10-11; 13,1;

Galati 3,26-29;

Luca 9,18-24

È sempre “bella notizia” il vangelo, ma dal momento che Gesù Cristo non ha mai “peli sulla lingua”, a volte il bello della notizia non appare a prima vista. Come la prossima domenica ad esempio: parla di croce il Signore, e non solo della sua (che siamo abituati a vedergliela sulle spalle) ma anche e proprio della nostra: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua”. A noi forse verrebbe da obiettare: “Scusa, Signore, ma proprio ogni giorno dobbiamo prendere la croce? Anche quando siamo in ferie? E quelli che non vanno mai in ferie, non li puoi esentare dal prendere la croce?”. Queste obiezioni nascondono una mentalità piuttosto diffusa: quella che vede il Cristianesimo, la Chiesa, la religione in genere, come una specie di prigione dalla quale sarebbe tanto bello evadere almeno ogni tanto, oppure starne alla larga se possibile. Perché non si può vivere bene lo stesso, anche senza Cristo, senza Chiesa, senza croce soprattutto?

In passato, quando esistevano i manicomi, qualcuno, in vena di ironia, diceva che la parola “manicomio” era scritta fuori, non dentro, perché il vero manicomio è la società, è il mondo. Tornando a noi, chi vede nel cristianesimo un carcere, una prigione, è proprio sicuro che i reclusi siano dentro? E se invece fossero fuori? se i prigionieri fossero alla fin fine quelli che scelgono di far senza Cristo, senza Chiesa, e senza croce da portare? Liberi! Ma sono liberi davvero, o si illudono di esserlo? In altre parole: la prigionia è dentro l’esperienza della fede, o è fuori?

Sì, Cristo parla di croce – della sua e della nostra – ma si tratta di una croce da prendere liberamente, spontaneamente. Non di rado invece, a questo mondo, le croci son quelle che si gettano addosso agli altri: la croce della sopraffazione dei forti sui più deboli, la croce che gli arroganti caricano sulle spalle dei miti, degli innocenti, senza che costoro abbiano nemmeno la consolazione di chiamarla croce, che sarebbe già una garanzia di speranza, una piccola luce che li potrebbe aiutare ad andare avanti nonostante tutto. No, è preferibile prendere la propria croce ogni giorno camminando dietro a Gesù Cristo, che non scaricare croci addosso agli altri! Ma cosa intende il Signore quando parla di croce? Si riferisce alle malattie, alle batoste, alle disgrazie che possono capitare nel corso della vita? Non proprio, anche se certa mentalità cristiana lo pensa (come se solo i malati, i disabili, i colpiti dalla sventura avessero una croce da portare). No, le parole del Signore non vanno in questa direzione; Gesù dice esattamente: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua”.

“Prenda”, si noti bene. Ora, a meno di essere masochisti, nessuno va a cercare la sofferenza, la prova, la sventura; nemmeno Gesù l’ha cercata. Inoltre aggiunge: “ogni giorno”. Per quanto certuni siano sfortunati nella vita, nessuno è colpito da una disgrazia o da una malattia ogni giorno: vi sono giorni sereni anche per le persone più infelici. Allora cosa vuol dire il Signore quando ci parla di croce? Ce ne parla per esperienza infatti. Per Gesù Cristo la croce non è stata una malattia, neanche una disgrazia. È stata il prezzo da pagare alla sua fedeltà: Gesù è stato fedele a Dio sempre, tutti i giorni della sua vita; ha detto a noi le cose che il Padre ha detto a lui, sempre e solo quelle; e le ha fatte soprattutto. Gesù è stato fedele fino alla fine, solidale con la nostra umanità, paziente e comprensivo per le nostre debolezze, generoso fino al dono della sua vita. E questo perché Dio ci ama e ci vuole ricuperare alla dignità di figli, alla libertà vera, alla pienezza della vita. Ebbene, tutto questo ha un prezzo, e Gesù l’ha pagato: il prezzo si chiama “croce”. Forse che la croce che prendiamo noi per seguirlo significherà qualcos’altro, o sarà fatta di un materiale diverso dalla sua? Nemmeno per idea. Anche per noi la croce è semplicemente il prezzo della nostra fedeltà: a Dio (visto che siamo suoi figli), alla nostra coscienza (visto che i figli di Dio ci tengono ad avere una coscienza limpida e pulita), e fedeltà al prossimo, sia quello che abbiamo accanto ogni giorno, sia quello che incrociamo di tanto in tanto (prossimo che, come si sa, a volte è facile da amare, ma a volte è difficile sopportare!). Questa fedeltà poco o tanto costa sempre. Ebbene, è questa la croce che il Signore ci invita a prenderci su ogni giorno se ci teniamo a essere suoi discepoli, cioè: cristiani. (Quanto a chi è colpito da sofferenze, prove o sventure, sì ha pieno diritto di considerare “croce” tutto ciò, ma a una condizione: che non smetta di credere in Dio e di amarlo, non come il mandante delle sue disgrazie, ma come il Cireneo che le condivide con lui). Sì, vale la pena seguire Gesù Cristo, anche se il prezzo da pagare è la croce da prendere liberamente. Non è masochismo, è tutto di guadagnato per noi. Quella sublime dignità che ci dà l’esser cristiani, e che fa dire a san Paolo in questa domenica: “Tutte le differenze sono abolite, non c’è più né servo né padrone, non c’è più né uomo né donna, perché tutti siete uno in Cristo Gesù”, ecco: questa dignità è frutto del prendere la propria croce ogni giorno. Non cediamo alle lusinghe di chi promette dignità, pienezza di vita, felicità… senza croce. Ci prende semplicemente in giro.

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