La lezione delle amministrative

Il successo dei Cinque Stelle è legato alla protesta contro sistemi di potere che sono cristallizzati da troppo tempo su cerchie ristrette e inamovibili

Avevamo scritto del «tutti contro Renzi» e la cosa si è puntualmente avverata nei ballottaggi del 19 giugno. L’analisi dei flussi non lascia dubbi: una quota notevole dei voti dei partiti nemici del premier, dall’estrema destra all’estrema sinistra, si sono riversati sui candidati dei Cinque Stelle e sono stati importanti non solo per farli vincere, ma per farli vincere alla grande.

Solo là dove il candidato alternativo al PD non era pentastellato il fenomeno non si è verificato se non in quote poco significative: il caso di Bologna è emblematico, ma lì veniva richiesto agli elettori grillini di votare una candidata della Lega di Salvini e probabilmente era troppo (in quel caso anche l’estrema sinistra ha finito per convergere sul candidato PD).

La conseguenza del fenomeno è stata un fuoco di fila di critiche su Renzi che alla direzione del suo partito prevista per venerdì 24 giugno dovrà difendersi. Ha annunciato che lo farà attaccando, cioè incidendo sul sistema di governo del partito.

La questione è però più complicata di quanto non la si faccia apparire da una parte e dall’altra. Non siamo di fronte ad una generica ventata di giovanilismo (vogliamo facce nuove) o ad una scontata protesta contro i professionisti della politica. Nella maggioranza dei casi (perché esistono anche le eccezioni) il successo dei Cinque Stelle è legato alla protesta contro sistemi di potere che sono cristallizzati da troppo tempo su cerchie ristrette e inamovibili. Queste a volte cooptano qualche «figlio», ma non si va più in là di così.

Chi ha a che fare col sistema della classe dirigente, dalle banche all’università, tocca con mano che l’unica preoccupazione di queste è che non si faccia niente di nuovo, perché qualsiasi soffio di vento turba gli equilibri di persone che sono spesso al potere più per fortunate combinazioni che per merito e dunque vedono ovunque concorrenti pericolosi.

Sarebbe eccessivo dire che la gente sia pienamente cosciente di questo, ma percepisce questo immobilismo impaurito che frena dal confrontarsi con un po’ di audacia con le novità necessarie. Renzi a suo tempo ha detto che ci avrebbe provato e infatti è stato portato al potere dalla gente, non col tradizionale voto parlamentare ma con quello delle primarie e con il test delle Europee. Ha però sottovalutato che non era sufficiente che lui rottamasse un po’ di dirigenti già in disarmo. Doveva riuscire ad incidere sul sistema di potere diffuso, diffidando del fatto che quello in breve tempo si è convertito (superficialmente) al renzismo e che toccarlo non era sempre facile perché si trattava anche dei parenti dei suoi uomini (il caso Boschi è solo la punta di un iceberg e neppure il caso più significativo, visto che lì almeno un po’ si è presentato il conto).

I Cinque Stelle hanno approfittato di questo sentimento che sono stati molto abili a percepire. La scelta del grido «onestà, onestà» come slogan da esibire nelle sceneggiate di piazza è per certi versi irritante perché fondamentalmente vuoto e persino un po’ ipocrita, ma testimonia del perdurare di un sentimento popolare che è quello che tirava le monetine a Craxi e plaudiva alle intemerate giustizialiste di Di Pietro.

Con un referendum come quello confermativo di ottobre ormai alle porte la situazione non è di quelle che lasciano tranquilli: come il calcio, la politica ha le sue tifoserie e, temiamo, anche i suoi hooligans. I suggerimenti a Renzi di mettere mano alla riorganizzazione del partito sono in parte interessati: nascondono la speranza che nel riassetto dei vertici ci sia spazio per qualche promozione e per qualche compromesso.

Ciò di cui il premier ha bisogno è inventarsi un modo per far vedere che le porte ad una nuova classe dirigente è in grado di aprirle lui: non serve che si limiti a giovani, può scegliere anche gente più avanti con l’età e con esperienza, purché mostri che è finito il tempo dell’autoreferenzialità dei vari gruppi dirigenti oggi al potere.

Non è un’operazione che si fa in pochi giorni, ma se vuole smorzare l’onda innescata dal successo del M5S deve sbrigarsi. Altrimenti ad ottobre si rimetterà in moto la «santa alleanza» di tutti quelli a cui, da destra e da sinistra, interessa tenere in vita il sistema feudalizzato ancora vigente. Non vinceranno, perché la storia non torna indietro, ma consegneranno la vittoria, prima o poi, ai Cinque Stelle, che stanno velocemente imparando come si fa politica.

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