La passione, anima dello sport

Cinque campioni a confronto a Moena sui valori dello sport e gli spazi per il Vangelo: i calciatori Damiano Tommasi e Marcos Alonso, la fondista Antonella Confortola, il pallavolista Michele Fedrizzi e il cappellano della nazionale don Massimiliano Gabbricci

C'è una parola, un concetto, che moltissimi atleti riconoscono come il vero motore non solo dello sport «pulito», ma anche dello sport «vincente». La passione. Per la disciplina che si ama, per gli allenamenti quotidiani che trasformano i sacrifici in opportunità. Passione per la vita che si sceglie, quella gioia intima e fiammante che si percepisce inseguendo un sogno. Accompagnati anche dalla rassicurante forza della propria fede.

Parlare di valori nello sport oggi sembra quasi un controsenso, specialmente ad alto livello. Tra doping, contratti milionari e comportamenti poco edificanti c'è il rischio di oscurare tutto il resto. Nell'incontro promosso dal decanato fassano per “Ispirazioni d'estate” mercoledì 20 luglio a Moena, davanti ad oltre cento persone nell'aula magna del Polo scolastico, si è parlato con incisività e competenza di questi argomenti; lo hanno fatto cinque ospiti illustri ben orchestrati dal direttore del nostro settimanale Diego Andreatta.

A partire da Damiano Tommasi, “bandiera” della Roma, ex calciatore della Nazionale e oggi presidente dell'Associazione Italiana Calciatori: «Dopo una lunga carriera oggi rifletto sul mondo del calcio e dello sport in generale da padre di sei figli – ha detto Tommasi commentando la "Carta dei diritti dei bambini nello sport" -, e mi rendo conto di quanto sia importante per i giovani avere qualcuno che li accompagna nel loro percorso. Per allenatori e genitori a volte è difficile trovare il giusto equilibrio; io credo che il dovere di queste figure sia quello di affiancare i ragazzi durante la loro crescita, e non di spingerli o di trascinarli su strade tracciate da altri».

Dello stesso avviso don Massimiliano Gabbricci, cappellano della Nazionale di calcio e della Fiorentina, in ritiro in Val di Fiemme: «Non bisogna mai dimenticarsi che fare sport significa prima di tutto divertirsi: Papa Francesco ha detto che lo sport è un gioco che fa bene al corpo e allo spirito. Pensando al campionato di serie A e ai calciatori più affermati, credo che sia fondamentale riscoprire l'umanità delle persone: anche i campioni sono esseri umani, e spesso in troppi ce lo dimentichiamo».

Antonella Confortola, fiemmese, medaglia olimpica a Torino nello sci di fondo e attualmente impegnata nella corsa in montagna, ha ricordato con particolare emozione un episodio particolare vissuto proprio durante un’esperienza olimpica: «A Vancouver, nel 2010, ho attraversato un momento di crisi: ero andata male in una gara, mi sentivo oppressa da una profonda delusione. È stata una Messa al Villaggio Olimpico a rinvigorirmi, a darmi la forza di cambiare il mio approccio alle difficoltà per vivere nella maniera migliore le giornate di gara seguenti. L’amore per lo sport non è mai legato ai risultati, ma allo sport stesso: ecco cosa lo rende tanto speciale. Questo è il messaggio più importante che dobbiamo trasmettere a chi si avvicina a questo mondo».

Michele Fedrizzi, classe ’91 di Lona, frazione di Lases, è un talentuoso schiacciatore cresciuto nelle giovanili della Trentino Volley e pronto a una nuova stagione da protagonista con la maglia di Padova in serie A: «All’inizio mi sembrava difficile “metterci la faccia” e vivere la mia fede in un ambiente in cui è facile sentirsi giudicati se non a volte ridicolizzati, ma oggi mi sento più maturo e consapevole delle mie scelte. Mi ha molto colpito l’esempio di Jack Sintini, che ho avuto la fortuna di avere come compagno di squadra per un anno a Trento: dopo aver vinto la sua lotta contro il cancro è tornato a giocare ad alti livelli, e lo ha fatto mostrando una grandissima forza d’animo. Una forza che ha trovato nella fede, specie nei momenti più difficili». Un esempio forte, come quello che Marcos Alonso, lo spagnolo terzino sinistro della Fiorentina, ha trovato nel padre calciatore: «È stato il mio modello, l’uomo che ha saputo far nascere in me la passione per lo sport e per il calcio. Spero di poter essere anche io, un futuro, un simbolo così prezioso per i miei figli e per i ragazzi. Ho passato dodici anni nelle giovanili del Real Madrid, quello è un ambiente che ti segna davvero molto: ti senti a un centimetro dal cielo, ma in realtà rischi anche di cadere rovinosamente. In tanti si sono persi, lungo questa strada».

Ma è possibile portare un messaggio esplicitamente cristiano nel mondo del calcio? «È possibile – ha chiuso don Massimilano Gabbricci – se ognuno ha il coraggio della propria testimonianza. Questo non è sempre facile, ci sono persone che scelgono di non aprirsi con la propria fede; altri lo fanno e si rendono esempi importanti. Lo ripeto, secondo me dobbiamo avere il coraggio di essere cristiani in tutte le dimensioni che viviamo». E in un mondo segnato da guerre, odio e paure, le ormai prossime Olimpiadi di Rio de Janeiro possono davvero essere un’occasione per aiutarci a ritrovare, nello sport come nella vita, il lato più umano di noi.

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