Il partigiano “salesiano”

La straordinaria figura di Carlo Merler, magistrato di Povo, internato a Bolzano e combattente nelle file partigiane con il nome di Aroldo

Il ragazzo era originario derlla collina di Trento, ma era cresciuto nell'adolescenza a Torino in quel primo oratorio fondato da don Giovanni Bosco a Valdocco, la “Terra Santa salesiana”. Ed il modello formativo – rigore ascetico e giustizia evangelica – del grande santo sociale piemontese segnò e accompagnò tutta la sua vita al punto che un busto di Giovanni Bosco “veglia” sempre sulla sua scrivania.

Parliamo di Carlo Merler, o meglio di uno dei tanti risvolti significativi della poliedrica personalità di questo magistrato nato a Povo nel 1903, antifascista, che fu poi partigiano combattente, nome di battaglia “Aroldo”. E' questo il titolo della prima biografia ricostruita da Sandro Schmid, presidente trentino dell'ANPI, che è rimasto affascinato da questo protagonista della Resistenza (finora più noto nel Veronese che in Trentino) e che ha curato l'indagine storica su invito della figlia Milena, custode di tutti i documenti personali, inediti, del papà.

La storia del partigiano, per molti anni magistrato della Giustizia militare, è rimasta “a lungo taciuta e sottovalutata”, come rileva nella presentazione il direttore del Museo Storico di Trento Giuseppe Ferrandi, secondo il quale Merler “si può affiancare, senza forzature, ad un grande protagonista e leader della Resistenza trentina, Gianantonio Manci, nato due anni prima e anch'egli proveniente dalla collina poera”. C'è una vicinanza ideale e politica testimonianta dall'adesione al Partito d'Azione ma anche una comune identità patriottica – documentati da un articolo del giovane Merler su Giuseppe Mazzini – ed il legame con la tradizione battistiana.

Nato a Povo da una famiglia benestante contadina (altri cinque fratelli maschi e una femmina, Lina, che diventerà suora di Carità francescana), Carlo fu trasferito durante la Grande Guerra in Piemonte dove frequentò i salesiani e mostrò nella formazione le sue grandi doti intellettuali ma anche umane. Abile anche nella scrittura giornalistica, mostra passione per il diritto, si laurea in diritto a con una tesi sull'eutanasia e avvia una carriera di giudice civile e poi militare fino alla spedizione nel 1937 ad Asmara, in Eritrea, e poi a Torino. Visse l'epopea della Divisione Aqui a Corfù come magistrato ma riuscì a tornare in Italia dove l'8 settembre 1943 lo sorprese nel Bergamasco: “Conformemente ai miei sentimenti e al dovere, non esitai sulla via da seguire – lasciò scritto – . Non risposi mai ad alcun bando né dell'autorità tedesca di occupazione, né successivamente dei fascisti repubblichini. Fornitomi di documenti falsi presi subito contatto con gli elementi organizzati della Resistenza della val Brembana”.

Dovrà pagare la sua scelta per il movimento partigiano con l'arresto da parte della Gestapo nel marzo 1945, l'internamento al Campo di Concentramento di Bolzano, da dove uscirà dopo la Liberazione. Dalle lettere agli amici, ai compagni e ai familiari Schmid ha recuperato elementi molto freschi rispetto alle posizioni coerenti mantenute da Merler in questa fase convulsa del dopoguerra. Per gli storici è interessante il contributo offerto da Carlo all'interno della componente denominata “Giustizia e libertà” (“una Resistenza animata dal valore della scelta, dall'impegno etico-morale prima ancora che politico”, chiosa a proposito Ferrandi) e anche il suo impegno a scavalco fra Trentino, Fiurli e Lombardia. Restò anche negli anni Cinquanta e Sessanta nel ruolo della Giustizia militare in quel di Verona (altro tassello finora poco indagato) fino alla morte avvenuta nel 1972 alla soglia dei 70 anni.

Ma il libro di Schmid, ricco di fotografie e cartoline dal fronte conservate a casa Merler, non appassionerà soltanto i ricercatori storici, perchè la dimensione personale degli affetti è molto vivace, così come i robusti legami familiari all'insegna della fede; in particolare le lettere alla fidanzata Mary (sposata nel 1946), che testimoniano il forte legame d'amore ma anche “il clima di precarietà assoluta nel quale i sentimenti dovevano navigare, facendosi forza della propria intensità”, come annota il critico letterario Mario Cossali.

Fra le varie scelte coraggiose affiorate da questa ricerca – e meritevoli di ulteriori approfondimenti – anche l'appoggio ad una legislazione che negli anni Sessanta potesse rendere meno penalizzante la scelta giovanile dell'obiezione di coscienza al servizio militare.

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