La sobrietà vale anche per la pubblica ammistrazione

Non va dimenticato il monito del Papa sull'economia “che uccide”. Chiama in causa anche il Trentino e la sua PA

«Questa economia uccide. Tutto entra nel gioco della competitività, dove il potente mangia il più debole. Come conseguenza, grandi masse di popolazione si vedono escluse ed emarginate: senza lavoro, senza prospettive, senza vie d’uscita. In questo contesto, alcuni ancora difendono le teorie della “ricaduta favorevole”, che presuppongono che ogni crescita economica, favorita dal libero mercato, riesca a produrre di per sé una maggiore equità e inclusione sociale. Questa opinione, mai confermata dai fatti, esprime una fiducia grossolana e ingenua nella bontà di coloro che detengono il potere economico e nei meccanismi sacralizzati del sistema economico imperante. Nel frattempo, gli esclusi continuano ad aspettare…».

Sembra il proclama di un movimento di protesta. Invece sono parole di Papa Francesco, che denuncia con asprezza la «dittatura di una economia senza volto e senza uno scopo veramente umano». Benché il Papa possa aver presenti forme di emarginazione ben più squallide delle nostre, e teorie economiche piuttosto sbrigative (come lo «sgocciolamento» sui poveri delle agevolazioni concesse ai ricchi, un’idea associata alla politica fiscale della cosiddetta reganomics), nemmeno a noi trentini è concesso di sottovalutare i toni durissimi dell’esortazione apostolica Evangelii gaudium (novembre 2013) e non riflettere seriamente sulla «grave mancanza di un orientamento antropologico che riduce l’essere umano ad uno solo dei suoi bisogni: il consumo».

Del resto la crisi che da lungo tempo ci sta opprimendo sollecita questa riflessione. Molta parte del nostro tessuto imprenditoriale non brilla per capacità innovativa, massa critica e apertura internazionale; il modello di sviluppo è insidiato dalle proprie debolezze, come la pervasiva presenza pubblica; e «mentre i guadagni di pochi crescono esponenzialmente, quelli della maggioranza si collocano sempre più distanti dal benessere di questa minoranza felice».

Non esistono rimedi miracolosi a queste criticità. Non si conoscono oggi alternative ragionevoli all’economia di mercato; l’impresa rimane un generatore insostituibile di innovazione e di ricchezza; anche il modello trentino, con i suoi limiti, rimane pur sempre un esempio virtuoso di riscatto dalla povertà.

Ma qualcosa, anzi molto, si può fare. La prima medicina da somministrare a questo sistema afflitto dal «feticismo del denaro» è la sobrietà. La pubblica amministrazione ha da metterci, anzi da toglierci, tanto di suo: costi della politica, spese faraoniche, burocrazia inutile e assistenzialismo potrebbero lasciare il posto all’«invocata riduzione della pressione fiscale, e in particolare dei tributi sul lavoro, che consentirebbe alle imprese retribuzioni più dignitose e nuove assunzioni», come disse nel febbraio 2014 l'ass. Alessandro Olivi. Si tratta di combinare l’efficienza dei processi (ossia gli obiettivi funzionali) con una nuova mappa di priorità (obiettivi strategici) e con un maggior ricorso al privato (obiettivi trasformativi, i più sfidanti). In parallelo i nodi cruciali per l’equità dello sviluppo, come l’evasione fiscale, lo sfruttamento del lavoro, la disonestà e il consumismo sfrenato, chiamano prepotentemente in causa la responsabilità delle imprese e dei cittadini. Questa economia può in effetti creare molte più opportunità per quegli esclusi che il Papa ha tanto a cuore. Cercarle è un dovere di tutti.

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