“Una vita trentina” nelle pieghe della storia

Don Bepi Grosselli ha aperto la tre giorni di festeggiamenti per il 90°

Novant'anni per entrambi, gli stessi: don Grosselli è nato il 27 dicembre 1926, tre giorni dopo la fondazione di Vita Trentina. Giovedì 10 novembre la sala di rappresentanza di palazzo Geremia era gremita per la presentazione del libro in cui don Bepi, in dialogo con Roberta Giampiccolo, ripercorre gli anni della formazione preconciliare, la primavera del Vaticano II, il Sessantotto nelle fabbriche e il boom del turismo (“Don Bepi, una vita trentina”, Vita Trentina editrice).

Non un libro celebrativo, per parlare di lui come un prete speciale – così il direttore Diego Andreatta lo ha convinto a scriverlo, e così lo ha presentato al pubblico – ma “una vita trentina” come tante, che sa rappresentare tutti i preti, ma anche i laici, che hanno vissuto lo stesso periodo storico. “È un libro davvero rivolto a tutti, anche ai giovani – ha sottolineato il direttore -, a quelli che non frequentano le nostre chiese, che possono capire cosa vuole dire Papa Francesco quando parla dei preti con l’odore delle pecore. Don Bepi era un prete con l’odore delle tute degli operai”.

Con questo libro Roberta Giampiccolo, collaboratrice di Grosselli dal '91 al 2009, ha voluto valorizzare la passione di don Bepi per il racconto. Quanti ne ha raccolti negli anni accanto a lui: “Mi sono accorta di quanto quei racconti costituissero un grande affresco di storia, e delle pieghe della storia, perché lì stava don Bepi”. Ogni capitolo è una chiacchierata, e ciò che ne esce “è proprio il Bepi”, con la profondità ma anche la leggerezza che lo contraddistinguono.

Don Grosselli ha raccontato il passaggio epocale vissuto in questi 90 anni: “dalla Chiesa delle paure” (paura della scienza, dei critici, di chi la pensa in modo diverso) – e bisognava tapparsi la bocca alla scuola di teologia, “altrimenti oggi non sarei prete…” – alla Chiesa di Francesco, “che mi fa respirare primavera!, mi dà la gioia di essere prete, ci apre tutti a capire le cose e a farle”. Che bella quella parola, primerear, cioè “prendere l'iniziativa e osare, per non svaporare tutto in chiacchiere o in ideologia”.

Undici giorni dopo l'ordinazione, nel giugno 1950, don Bepi era già al lavoro a Tiarno, per assistere i ragazzi in seminario. E poi, lungo gli anni, è stato a fianco delle donne nelle Acli, nel mondo operaio (“La fabbrica è stata la mia università popolare: parlare con la gente nella pausa pranzo, dalle 12 alle due e un quarto, conoscere la cultura operaia per capire perché tra quel mondo e la Chiesa non ci si capiva”), poi le esperienze da educatore e da musico, la pastorale del turismo… “e poi finalmente, a 65 anni, sono diventato parroco e ho raggiunto l'ambiente naturale del prete”.

“Mi sembra di aver fatto di tutto – lo dico a voce alta -, per aiutare anche i piccoli a scoprire la parola di Dio”. Anche oggi, quando c'è il tempo di fermasi per preparare l'omelia domenicale, “mi rendo servo della Parola di Dio, perché con quella vado sul sicuro, le altre son tutte chiacchiere d'uomini”. Ecco allora le poche cose importanti, la missione di una vita: scoprire la Parola di Dio, che ha qualcosa da dire a tutti, diffondere il contenuto della dottrina sociale (“non ideologia ma indicazione di mete ideali e comportamenti corretti, come ci suggeriva Papa Wojtyla”), e lavorare assieme, convinto che “tegnir ensema la zent oggi è l'ottava opera di misericordia spirituale”, perché ognuno va per conto suo e creare piccoli gruppi, nel quartiere, con le famiglie, le associazioni, per trovarsi stabilmente assieme, è un regalo che si fa alle persone”. E, ultimo, “far cantare la gente”: perché, dice don Bepi – “e su questo potrei 'contare storie infinite” – “cantare insieme fa bene alla qualità della vita. Come diceva sant'Agostino, 'Dio abita nella casa di chi canta', in tutti i senti. La musica porta inesorabilmente a Dio!”.

Non è stato un caso se le parole di Grosselli hanno lasciato il posto ai canti popolaroi del coro “Bella Ciao”, da lui fondato nel 1994 per recuperare e ridonare alla coralità i canti del lavoro e della Resistenza.

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