Nervi tesi per il dopo-referendum

Dopo otto mesi di discussione sui pregi e difetti della riforma costituzionale, o più banalmente se questa poteva o no essere l’occasione buona per mandare a casa Renzi, ecco che ci si risveglia pensando che magari non tutto è così semplice e automatico come potrebbe sembrare.

Sbarazzarsi del governo attuale in caso di bocciatura della riforma può essere un bello slogan, ma nulla di più. Di un governo infatti c’è bisogno e la situazione non consente di restarne privi neppure per poco tempo, perché entro fine dicembre c’è da varare la legge di stabilità (ex finanziaria), altrimenti si passa all’esercizio provvisorio, il che sarebbe uno smacco per il nostro paese oltre a metterci in grave difficoltà con Bruxelles. E’ scarsamente immaginabile che si possa fare tutto in pochi giorni: ammesso che Renzi si dimettesse il 5 dicembre, poi anche ammesso che Mattarella non lo rimandasse alle Camere per un voto di fiducia esplicito, ci sono comunque le audizioni da fare e bisogna individuare un sostituto che da un lato vada bene alla coalizione di maggioranza tutt’ora attiva e dall’altro che non entri troppo in conflitto con le opposizioni che reclameranno la vittoria. Quasi la quadratura del cerchio.

Anche se vincesse il sì le cose non sarebbero facili, perché certo il governo Renzi potrebbe continuare il suo cammino, ma con difficoltà a condurre in porto in maniera appropriata la manovra fiscale, perché non mancherebbero quelli che gli presentano il conto per il sostegno (vero o presunto) che gli hanno dato nella campagna elettorale.

Superato lo scoglio della legge di stabilità ci sarebbe comunque da mettere mano a due impegnative leggi elettorali. L’Italicum è giudicato morto non solo dai fautori del no, ma anche dalla maggioranza di governo, incluso lo stesso premier. Rifarlo è piuttosto complicato perché non c’è accordo trasversale: l’ultima proposta che gira, metà deputati eletti con collegi uninominali, metà su voti di lista bloccata (senza preferenze), si presta a molte contestazioni. Però ormai c’è l’impegno a procedere verso una nuova legge da parte di entrambi gli schieramenti e dunque qualcosa bisognerà escogitare.

Poi c’è la questione della legge elettorale per il senato. Se vincerà il no, la seconda camera potrà anche restare come adesso (dubitiamo ci siano i tempi per una legge costituzionale che lo modifica), ma per eleggerlo c’è bisogno di una nuova legge, visto che la vecchia è stata in buona parte cancellata dalla Consulta. Se vincerà il sì ci sarà egualmente bisogno di una legge per dare ai cittadini il modo di intervenire direttamente nella designazione dei consiglieri regionali che andranno in senato. C’è già un progetto elaborato dal sen. Vannino Chiti che prevede la modalità di una doppia scheda in sede di votazione per i consigli regionali e il presidente Renzi ha dichiarato di prendere quel modello come base. A titolo di curiosità rileviamo che ovviamente questo non sarà possibile per designare i sindaci da mandare in senato: per questo la proposta Chiti prevede che la scelta avvenga ad opera del consiglio dei comuni o di un ente similare.

Come è facile immaginare, in entrambi i casi e con qualsiasi scenario esca dalle urne si profila una stagione di forti tensioni politiche. Non dimentichiamo che si entra di fatto nell’anno pre-elettorale che per una classe politica, soprattutto di questi tempi in cui tutti si sentono terribilmente in bilico, è una fase molto difficile in cui ci vuol niente per far saltare i nervi.

Il fatto è che il mondo non si fermerà certo per aspettare che i politici italiani sistemino i conti tra di loro. Basterebbe ricordare che il 2017 sarà un anno cruciale per l’Europa, sia per il concentrarsi di elezioni (in Austria già questa settimana, poi in Francia e poi in Germania), sia per le difficoltà di governance che si incontrano a Bruxelles (Martin Schultz che se ne va e deve essere sostituito; Juncker che non riesce a produrre una leadership credibile; il perdurare dello scontro sulle politiche economiche: il tutto nel quadro della gestione della Brexit). Ciò significa che l’Italia avrebbe bisogno di un paese politicamente capace di una accettabile coesione e di una classe di governo che potesse concentrarsi sui grandi problemi anziché dover fare lotte di fazione.

Quasi un sogno che si fa persino fatica a sognare.

vitaTrentina

Lascia una recensione

avatar
  Subscribe  
Notificami
vitaTrentina

I nostri eventi

vitaTrentina