Le belle pagine di padre Mario

Mario ci lascia l'impegno a raggiungere tutti, a non lasciare nulla di intentato perché il Vangelo sia annunziato]

Una delle foto più frequentemente pubblicate, lo ritrae intento a scrivere a macchina. Lo sguardo attento sul foglio, l'espressione del volto a significare concentrazione e dedizione. P. Mario Borzaga, missionario Oblato di Maria Immacolata, morto martire in Laos nel maggio 1960, ne aveva scritte di pagine nel corso della sua vita missionaria. Chi lo ha conosciuto bene ci dice che scriveva per riviste e giornali, oltre a numerosi appunti e pagine di Diario, queste ultime raccolte in due volumi pubblicati da Città Nuova negli anni '80. Attorno alla sagoma di p. Mario, la sua stanza, la sua vita missionaria in terra d'Asia, la sua passione per l'arte e la musica.

Mario Borzaga aveva il temperamento e il fisico dei montanari. Era nato a Trento nel 1932, il più giovane di 4 figli, e nella sua città era entrato in seminario. A vent'anni si unisce ai missionari Oblati di Maria Immacolata, Congregazione francese fondata da S. Eugenio de Mazenod nel 1816. Poi alla fine del '57 la partenza per la missione del Laos, insieme al primo gruppo di Oblati italiani.

La coscienza dell'apostolo

Mario ha la coscienza dell'apostolo. Quando sa di dover partire per il Laos, nell'estate del '57 così scriveva nel suo diario: "Festa della Visitazione. Uno dei giorni più importanti della mia vita: ho ricevuto l'obbedienza per il Laos. Ci andrò nel nome del Signore. Vergine Immacolata aiutami! Gesù, Gesù, Gesù, voglio essere uno dei tuoi: come Pietro, Paolo, Barnaba, Luca, Giovanni, Giacomo…".

La missione di Paksane è il luogo dell'ambientamento. Lì apprende la lingua, la cultura locale e la vita missionaria. Pare che il suo zelo missionario fosse davvero spiccato. Mario amava stare con la gente per imparare tutto di loro il più presto possibile e così essere in grado di annunciare il Vangelo della salvezza. Anche a Kiu Kacham nel distretto di Luang Prabang, fa di tutto per accelerare i tempi. Insegnare il catechismo, visitare le famiglie, accogliere gli ammalati che venivano al dispensario della missione, queste le principali occupazioni del giovane missionario. Aveva fretta, Mario, la fretta di chi sa che la vita dell'apostolo è breve e va spesa tutta per il Regno.

Portare il Vangelo agli ultimi

A fine aprile del 1960 parte con Shiong, un giovane catechista dell'etnia hmong per un tour in alcuni villaggi situati a sud della Astrid road. Più volte era stato invitato a recarsi in questi villaggi. Gli avevano chiesto di conoscere la fede cristiana e di essere aiutati. Mario parte con il desiderio di portare agli ultimi il Vangelo di Gesù e, a chi avrebbe incontrato, aiuti medici e conforto. È l'ultima decisione della sua vita, infatti da quel viaggio non fa più ritorno.

Di p. Mario e del suo catechista si perdono le tracce. La gente dice di non sapere con precisione cosa accadde in quel giorno di maggio. Era arrivato ai villaggi, aveva incontrato la gente e gli ammalati. Poi più nulla. Nessuna traccia. Inghiottiti dal silenzio. Solo 40 anni più tardi si è avuto notizia della loro uccisione per mano di guerriglieri.

Mario era partito vestito completamente di nero, come facevano i lao hmong, il berretto in testa, lo zaino sulle spalle. È vittima di una situazione di instabilità politico/sociale che il Laos viveva in quel periodo e che trovava nel rifiuto degli stranieri una delle sue espressioni più eloquenti. Altri missionari erano stati uccisi o minacciati in quegli anni. Oltre al vuoto e al disorientamento per la sua prematura scomparsa, p. Mario Borzaga ci lascia un testamento spirituale di alto spessore.

[“Non c'è più nulla da fare che credere e amare”

Il testamento spirituale

La sua vita conferma anzitutto che anche la vocazione missionaria è via alla santità. Spendere la propria vita per i poveri, vivendo il precetto dell'amore, può portare alla perfezione. In p. Mario vediamo anzitutto splendere la virtù della carità, vissuta nei confronti della gente e dei confratelli missionari. "Voglio formarmi una fede e un amore profondo e granitico, – scriveva – non posso altrimenti essere Martire: la fede e l'Amore sono indispensabili. Non c'è più nulla da fare che credere e amare".

E poi Mario ci lascia l'impegno a raggiungere tutti, a non lasciare nulla di intentato perché il Vangelo sia annunziato. Spesso, guardandoci attorno, sembra che il Vangelo sia un premio per i buoni e non un diritto di tutti. La forza, che nasce dall'adesione a Cristo, impegna ad andare avanti nell'annuncio del Regno anche nelle situazioni più dure. Nel luglio del 1957 così annotava nel suo Diario: "Il missionario va quando non guarda sua madre, quando le comodità non lo interessano, quando non ha amici, non ha esigenze, quando non gode che l'amicizia delle stelle. Il missionario va quando ama solo il suo Signore. Il fare ventimila chilometri di nave è solo un'azione materiale ed esterna del suo andare. Il saper soffrire senza far tragedie è tutto". Mario fa parte di quella sorta di cristiani, i martiri, che hanno donato le proprie fatiche e tutto di sé per gli altri.

La sua scomparsa prematura, avvolta nel mistero e nel silenzio, è monito per noi a donare la nostra vita in maniera incondizionata per il Vangelo.

P. Pasquale Castrilli OMI

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