“La pace? Nasce per contagio…”

Il vicario apostolico in Anatolia (Turchia): “Viviamo in un clima conflittuale globalizzato”

"La road-map della pace non è un viale alberato, è una stradina ordinaria, come quella di Nazareth: la pace si costruisce con l'aiuto di Dio, dal basso, nella vita quotidiana, e può crescere solo per contagio tra vicini. Apostolo di pace è chi è in pace con se stesso ed esercita l'arte della spugna, assorbendo, dominando e imparando a gestire la rabbia".

È solo uno dei molteplici spunti di riflessione offerti dal vescovo Paolo Bizzeti, vicario apostolico in Anatolia (Turchia), durante la testimonianza svoltasi il primo gennaio nella 50a Giornata mondiale della Pace dedicata a "La non-violenza: stile di una politica per la pace" – titolo del messaggio di Papa Francesco – , nella chiesa di Sant'Antonio a Trento.

"Se siamo qui per celebrare questa giornata significa che la pace non c'è, non ovunque, non completamente: prendiamo atto di questa realtà, ma dobbiamo dire la nostra delusione al riguardo. Il Signore però ci invita a credere alla sua parola, non alle nostre sensazioni e quindi siamo qui per affidarci a lui ed essere guariti dalla paura dell'altro, un dogma alimentato dall'ignoranza e da una cultura che giustifica la violenza e afferma quale primo comandamento che dobbiamo difendere e proteggere la nostra vita considerando ogni mezzo lecito".

Viviamo in un clima conflittuale globalizzato in cui sembra che il conflitto sia inevitabile, ma chi ha il diritto di stabilire quale schieramento ha ragione o torto? "Le famiglie di rifugiati cristiani mi raccontano che i bambini non vogliono andare a scuola perché additati come infedeli, mentre quelle dei musulmani dicono che i figli sono chiamati terroristi: la paura si diffonde nelle case e i bambini la respirano fin da piccoli", ha raccontato padre Bizzeti esprimendo il desiderio di fare da ponte tra comunità cristiane turche e comunità italiane.

Credere e sperare nella pace è difficile perché, quando scatta la paura di fronte alla minaccia e al nemico, si smette di ascoltare: "Siamo estranei gli uni agli altri e temiamo di essere conquistati, spazzati via; siamo schiavi della paura di amare gratuitamente – ha proseguito – e che la pace costi troppo cara: per farla, bisogna sacrificare e perdere la vita come Gesù".

Il gesuita ha poi indicato le tappe fondamentali per costruire un mondo migliore: "La pace è una via smarrita, richiede una forza che non abbiamo perciò dobbiamo pregare, riconoscendo che solo il Signore può donarla; essa si costruisce attraverso il dialogo, ascoltando il vissuto dell'altro, rispettandolo e prendendolo sul serio, a partire dal rapporto tra uomo e donna, fondante ma spesso luogo dove si infliggono ferite profonde. Pretendiamo di sapere cosa è bene e male, giudichiamo: la guerra nasce dalla fretta, la pace dal lavoro paziente coniugato con la speranza. Le armi permettono l'escalation della violenza: la pace inizia eliminandole. È un'utopia? Sì, ma è l'unica che vincerà perché è quella di Dio".

Dopo aver percorso il sentiero di luce creato dalla fiaccolata per le vie della città, la riflessione è proseguita in Cattedrale con la veglia guidata dal vescovo Tisi e animata dal coro Sacra Famiglia di Rovereto durante la quale è risuonato l'invito a riconoscere e dare più spazio al bene e a pregare per i fratelli cristiani della Turchia.

"Abbiamo paura di un Dio che ci chiede di amare il nemico e porgere l'altra guancia – ha detto l'arcivescovo -: solo se ammettiamo che per noi è impraticabile, scopriamo la novità spiazzante della sua giustizia che consiste nello sposare la non-violenza, nell'offrire la mano e soccorrere il nemico, interrompendo la catena d'odio come hanno testimoniato con la loro vita i tre martiri su cui poggia la Chiesa trentina".

La giornata è stata promossa dalla Commissione diocesana Pastorale Sociale, Giustizia e Pace, Custodia del Creato e le offerte raccolte sono state devolute a sostegno dell'attività di monsignor Paolo Bizzeti in Anatolia.

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