Memoria di donne

Parla l'autore teatrale Renzo Fracalossi, storico dell’Olocausto: “L’antisemitismo sembra non morire ed è la prima forma di razzismo”

Sono giorni di memoria, questi di fine gennaio. Da diciassette anni il 27 gennaio è la pietra miliare del ricordo della Shoah. Coincide con la liberazione, da parte dei soldati dell’Armata Rossa, del campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau, nella Polonia meridionale. Ogni anno vi approdano studenti e professori (187 dal Trentino, la prossima settimana). Quest'anno l'attenzione tematica è posta in particolare sulle donne vittime della Shoah.

Anche per loro non fu soltanto Auschwitz a formare l’inferno della disumanità, l’inverno della ragione. Il commediografo e regista trentino Renzo Fracalossi, che all’antisemitismo ha dedicato decenni di studi e ricerche, per questo anniversario del 2017 ha scritto e mette in scena in vari teatri della provincia una pièce teatrale, un atto unico, dal titolo “Eppure non ho paura” (Memorie femminili del Lager di Ravensbrück). Fu l’unico Lager, 80 chilometri a nord di Berlino, “riservato” esclusivamente alle donne e dove morì, tra indicibili sofferenze, la maggior parte di 123 mila deportate. Non soltanto ebree.

“La galassia dei campi di concentramento nazista – sottolinea Fracalossi – fu vastissima. Si parla di 11 mila campi. I principali, che sono stati tramandati dalla letteratura e dalla memoria (da Auschwitz a Buchenwald, da Dachau a Ravensbrück stesso) si dividevano in numerosi sottocampi, sparsi un po’ ovunque. Dal punto di vista burocratico e amministrativo afferivano al campo centrale ma poi si gestivano autonomamente. Soprattutto nelle fasi del lavoro inteso come strumento di sterminio”.

Non c’è il pericolo che il giorno della memoria sia vissuto come una ricorrenza… fastidiosa, soprattutto in Germania?

“Credo che in Germania la memoria si sia elaborata molto più che in Italia. È più fastidioso da noi il giorno della memoria, perché lo abbiamo ridotto ad un rito. E questo perché non abbiamo affrontato la nostra storia, cioè la partecipazione dell’intero Paese alla persecuzione antisemita. Non fu solo uno sporadico manipolo di fascisti che perseguitò gli ebrei italiani, ma fu una diffusa, convinta e larga partecipazione di popolo alle leggi antisemite del 1938. Poi, per fortuna, gli italiani se ne ravvidero e molti si spesero per salvare gli ebrei perseguitati dai nazisti. Ma credo che la coscienza maggiormente dolente sia quella italiana, più di quella tedesca”.

Perché gli ebrei sono sempre stati perseguitati?

“La storia è lunga. Questo è un popolo singolare che, quando tutti adorano molti dèi, ne adora uno solo; un popolo che lavora quando gli altri si riposano; e riposa quando gli altri lavorano. È un popolo che si distingue per una unicità: perché pone al centro della sua vicenda millenaria la Parola. Vale a dire la narrazione. Pertanto nessuna immagine, nessun tentativo di edulcorare il racconto della storia della Salvezza se non attraverso la parola. E poi perché la persecuzione ha spinto questo popolo a essere sempre più perseguitato, sempre più emarginato, sempre più ghettizzato”.

Settantacinque anni dopo la Shoah, l’antisemitismo com’è?

“L’antisemitismo sta rifiorendo, anche grazie a coloro i quali continuano a dire che l’antisemitismo non c’è più. Rifiorisce anche grazie a coloro i quali sostengono che è ora di smettere di parlarne, ma soprattutto rifiorisce grazie anche a coloro i quali continuano a invocare il  bisogno di un uomo forte. Noi sappiamo che questi sono i prodromi per una ripresa di temi cari al populismo, alle demagogie, quindi all’antisemitismo che ne è figlio diretto. L’antisemitismo è la prima forma di razzismo e io, quando sento parlare di bisogno dell’uomo forte, di complotto delle banche, sento le stesse voci, gli stessi suoni e le stesse parole che furono usate in Germania nel 1933”.

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