I sindacati: “Basta aperture selvagge”

Cgil, Cisl e Uil denunciano la forte precarietà del settore del commercio e gli effetti negativi della liberalizzazione

Cgil Cisl e Uil confermano la netta contrarietà alle aperture indiscriminate nel settore del commercio e chiedono alla Provincia autonoma di Trento di intervenire con una nuova legge che limiti la liberalizzazione degli orari. “La liberalizzazione non ha prodotto né un rilancio dei consumi né ha portato il commercio fuori dalla crisi. Anzi, ha solo peggiorato le condizioni dei lavoratori”, denunciano i segretari di categoria. In Trentino sono circa 30mila i dipendenti nel settore che vivono una situazione di forte precarietà. “Le disdette unilaterali sono sempre più frequenti – interviene Roland Caramelle della Filcams Cgil – le assunzioni sono al minimo sindacale, manca ogni regola minima di concertazione sulla programmazione delle aperture e degli orari di lavoro”.

A poco più di sei anni dalla liberalizzazione di orari e aperture, con il decreto Salva Italia del governo Monti, “l’unica certezza è che la crisi – aggiunge Lamberto Avanzo della Fisascat Cisl – ha profondamente cambiato le abitudini degli italiani, che spendono e consumano sempre meno a prescindere da quando le serrande dei negozi sono alzate. E tenere aperto sempre aumenta anche i costi a carico degli esercenti”. Insomma per i sindacati la liberalizzazione selvaggia è stata un fallimento su tutti i fronti. “È vero che si è creata una maggiore concorrenza – ammette Walter Largher della Uiltucs – che si è rovesciata però sui lavoratori, peggiorando le loro condizioni. Le nuove aperture non hanno prodotto una crescita dell’occupazione(nel 2016 si sono persi quasi 400 posti di lavoro ndr) e, tra le nuove assunzioni solo una parte sono coperte con contratti a tempo indeterminato, poi si ricorre al lavoro somministrato, ai voucher, a tutte le forme possibili di contratti a tempo determinato”.

La maggiore difficoltà denunciata da sempre più lavoratori è quella di conciliare la famiglia e i tempi lavoro. Tanto che ogni anno, sostengono i tre segretari “Circa 200 donne nel commercio danno le dimissioni per maternità. E' una fabbrica che sparisce nel silenzio”.

Per queste ragioni – illustrate in una lettera inviata all’assessore Alessandro Olivi – si chiede alla Provincia un segnale politico forte, passando dalla condivisione ai fatti con la presentazione di un disegno di legge che limniti le aperture festive e domenicali. “La Provincia in virtù delle prerogative dell'autonomia – precisa Largher – ha le competenze per farlo ed è tempo di agire con un iter legislativo. Non ci sono spazi per soluzioni diverse”.

Forti di questa convinzione chiedono di ispirarsi alle recenti decisioni assunte in altri territori, come in Friuli Venezia Giulia, dove sono stati fissati dei limiti alle aperture e definite le giornate festive in cui gli esercizi commerciali devono rimanere chiusi. “Tra l'altro il Tar si è già espresso positivamente rispetto a tale intervento – aggiunge Caramelle – in attesa di conoscere la sentenza del Consiglio di Stato (il prossimo 11 aprile) dopo il ricorso presentato da Confcommercio, sollecitiamo la Provincia ad accelerare il percorso di regolamentazione che limiti le aperture estive, tuteli il diritto al riposo dei lavoratori e anche i piccoli esercenti dalla concorrenza delle grandi catene commerciali”.

Sulla questione l'assessore provinciale allo sviluppo economico Alessandro Olivi si è detto più volte favorevole ad un cambiamento in questa direzione “Tuttavia ad oggi non si è mai riusciti ad aprire un tavolo di concertazione – concludono i sindacati – e un intervento legislativo non è più rinviabile”.

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