Una politica schizofrenica

Sembrerebbe, almeno per quel che si capisce al momento in cui scriviamo questo articolo (ma ogni giorno le cose possono cambiare) che il PD, partito nato da una fusione fredda vada verso una scissione schizofrenica. In verità non è ancora chiaro se ci sarà un divorzio o piuttosto ci si limiterà ad una separazione in casa attendendo momenti migliori per formalizzare lo scioglimento dell’unione. Certo è irrealistico immaginare che la rottura rientri davvero, visto quello che si sono detti i contendenti.

Chi si è preso la briga di ascoltare gli interventi all’assemblea nazionale (esercizio non di quelli entusiasmanti, ve lo garantiamo) avrà colto ulteriori aspetti della schizofrenia a cui si accennava. Per esempio nel partito ci si vuole sbarazzare di un segretario che ha mostrato anche in questo frangente una capacità di comunicatore e un certo carisma in misura tale da non avere competitori. Come pensano di poter affrontare i difficili tornanti elettorali che hanno davanti dopo essersi privati di questa risorsa è un mistero (ci sono le amministrative a giugno e le politiche al più tardi a primavera 2018). E non parliamo di come pensano di poter far accettare ai cittadini una politica di ristrutturazione del bilancio nazionale, che è un passaggio imprescindibile se non vogliamo infilarci nel tunnel di un più o meno mascherato default a livello internazionale.

Tuttavia non si può fare a meno di notare che anche Renzi non sembra aver maturato consapevolezza di quella che è la sua vera debolezza, e cioè quella che definiremmo la sindrome di Napoleone: cercare sempre una solitaria affermazione in battaglie sempre più complicate col rischio di finire battuto da coalizioni unite solo dal desiderio di sbarazzarsi della sua leadership.

A dire il vero in molti interventi all’Assemblea del PD non sono mancati passaggi in cui si percepiva la consapevolezza del vicolo cieco verso cui ci si stava dirigendo. Quale sia è presto detto. Un PD indebolito da una scissione che all’elettorato non può che apparire un mix di folklore passatista (inni, bandiere rosse e quant’altro) e di protagonismi di personalità che altro carisma non riescono a dimostrare se non quello di chi si candida ad abbattere l’odiato sovrano. Rimanga un partito in eterna sospensione nella lotta fra le fazioni o si divida in due componenti (quella nuova peraltro ricca di molti galli nello stesso pollaio, e forse questo non mancherà anche nel PD superstite) la sua capacità di competere sul terreno elettorale sarà molto indebolita.

Senz’altro lo si verificherà nelle elezioni nazionali dove con un sistema elettorale che sarà quasi certamente proporzionalistico una coalizione di centro-sinistra formata da componenti che per dirla con franchezza si guardano in cagnesco non può produrre risultati migliori dei governi dell’Ulivo e dell’Unione, che sappiamo benissimo come sono finiti. Per di più tenendo conto che c’è la probabilità che per fare un governo devano aprirsi ad alleanze verso il centrodestra, una opzione che non si capisce come spiegheranno ai loro elettori quei partiti che hanno fatto della chiusura verso quelle direzioni il loro mantra.

Comunque, anche immaginando che si verifichi una maggioranza autonoma del nuovo raggruppamento fra PD e altre formazioni alla sua sinistra (cosa che al momento sembra molto improbabile) vorremmo capire come un governo nato da quel pastrocchio potrebbe mettere mano alle misure di risistemazione del bilancio e del corporativismo nostrano che andrebbero a cozzare inevitabilmente contro le ossessioni e le utopie dell’estrema sinistra.

Teniamo poi conto che questo scenario, che ci pare difficile possa realizzarsi a breve (elezioni a giugno sono assai difficili; ma ormai sempre meno probabili anche in autunno), sconterà una serie di eventi che avranno inevitabile impatto sull’opinione pubblica. Elenchiamo: contenzioso attuale con la UE; elezioni in Francia in aprile; elezioni amministrative in Italia in giugno (assai problematiche per il PD al momento attuale); elezioni in Germania a settembre; legge finanziaria da varare fra ottobre e fine anno. Questo al netto di possibili problemi che sorgessero a livello internazionale, dove, come sappiamo, le cose non sono affatto tranquille.

E’ per questo che Renzi punta ad ottenere ad ogni costo una prova di “passaggio popolare” con le elezioni dirette del nuovo segretario PD al più presto possibile (entro maggio): quella è l’occasione per verificare chi davvero può contare su una legittimazione indispensabile per sciogliere i nodi della rete in cui una politica poco lungimirante sta avvolgendo il paese.

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