“Ricordati che sei polvere”

Gen 2,7-9; 3,1-7;

Sal 50;

Rm 5,12-19;

Mt 4,1-11

Dopo l’allegria un po’ forzata e scomposta di fine carnevale, con la celebrazione penitenziale del mercoledì delle ceneri abbiamo dato inizio alla quaresima. Le ultime sfilate di carri di questa domenica e lo scorrere più o meno frenetico della nostra vita non ci aiutano certo a sintonizzarci sulle frequenze di questo tempo liturgico, che per quaranta giorni passerà al setaccio il nostro stile di vita, suscitando in noi la nostalgia di quella terra promessa dove il cuore si sente finalmente sciolto dai lacci del peccato.

Sarà la Parola a polarizzare la nostra attenzione e a orientare i nostri passi nel loro incedere, talvolta incerto, attraverso il deserto quaresimale, permettendoci così di uscire dalle secche delle nostre schiavitù, per arrivare interiormente liberi alla celebrazione della Pasqua del Signore.

In questa prima domenica di quaresima le parole della Genesi ci riportano agli albori della nostra vicenda umana, quando “Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita”. Ripensare a noi stessi significa tornare alle origini del nostro esserci su questa terra. La sapienza creatrice di Dio ci ha plasmati dalla polvere e in quel pugno di fango che siamo ha alitato il suo soffio vitale, donandoci l’esistenza.

“Ricordati che sei polvere e in polvere ritornerai”, recitava l’antica formula proposta per il rito penitenziale delle ceneri. Davvero cambierebbero le nostre prospettive se ci lasciassimo convertire da questo monito: smetteremmo di gettarci a capofitto nel caos di una vita convulsa, per dimostrare scioccamente a noi stessi e agli altri che non siamo polvere, ma la misura di tutte le cose.

Fin dalle origini, continua il testo della Genesi, l’umanità, cedendo alle lusinghe del tentatore, ha rinnegato il suo essere terra, per puntare a “essere come Dio”. Il peccato, che oscura da sempre la storia dell’umanità è, dunque, di natura narcisistica, consiste nel rigettare sconsideratamente la nostra identità profonda, il nostro essere umani, nel tentativo di detronizzare Dio, sostituendoci a Lui.

San Paolo nella seconda lettura ci ricorda che il baratro fra Dio e l’umanità, aperto dalla “trasgressione di Adamo”, è stato colmato da Cristo, il nuovo Adamo.

Quell’antico peccato aveva svuotato il nostro cuore dell’amicizia del Creatore, ci aveva negato il cielo, lasciandoci nudi e inermi su una terra ostile.

Offrendo la sua vita sulla croce, Cristo ha annullato le distanze, permettendo al Padre di venirci incontro per accoglierci in un abbraccio di riconciliazione e di comunione: nessuno potrà più strapparci da Dio, privandoci del suo amore.

Il vangelo di questa domenica ci ricorda che Gesù, prima di iniziare la sua missione, “fu condotto dallo Spirito nel deserto, per essere tentato dal diavolo”.

L’incontro assume subito i toni dello scontro, del duello. I due contendenti si affrontano sferrando fendenti con un’“arma” inusuale, la Parola di Dio, “più tagliente di ogni spada a doppio taglio” (Eb 4,12): Gesù per rivelarne il significato profondo, il demonio per manipolarla a proprio vantaggio.

Satana sfodera tuttala sua scaltrezza: gli si avvicina nell’ora più dura, quando “ebbe fame”, e gli suggerisce di abusare del suo potere, trasformando con un miracolo “le pietre in pane”. Il Signore resiste, dicendo: “Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”. Gesù ricompone la nostra umanità infranta dal peccato, offrendoci ciò che ci sazia di senso e ci fa vivere in pienezza: la Parola e il respiro vitale di Dio.

Il diavolo non demorde,alza il tiro prospettandogli una sfida, un gesto inconsulto e velleitario come “gettarsi dal punto più alto del tempio”, per costringere suo Padre a compiere un prodigio. Il Signore reagisce, affermando: “Non metterai alla prova il Signore Dio tuo”.

Gesù ci ricorda che non possiamo invertire i ruoli, che siamo creature, chiamate ad accogliere la volontà di Colui che ci ha creati. Nel “Padre nostro” ci insegnerà a pregare dicendo: “Sia fatta la tua volontà” (Mt6,10).

Infine, azzardando oltre ogni limite, il tentatore gli propone un baratto: l’ebrezza del potere in cambio di un atto di adorazione, “tutte queste cose io ti darò, se tu mi adorerai”.

Cristo,opponendosi con inaudita durezza, intima al diavolo: “Vattene, satana!…Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto”, dimostrando così la sua totale e incondizionata fedeltà al Padre.

Resistendo alle tentazioni, il Signore ci rivela il senso profondo della sua missione, che si realizzerà pienamente nella sua Pasqua: ricondurre l’umanità al Padre, per riprendere quel dialogo d’amore, interrotto tragicamente dal peccato.

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