Un mondo sospeso

Gentiloni festeggia i cento giorni al governo e i commentatori si interrogano sulla sua tenuta e sul grado di consenso di cui è titolare. Sono questioni scontate per chi deve riempire i giornali, ma l’impressione all’esterno è di vivere in un mondo sospeso, dove si aspetta sempre che succeda qualcosa per consentire alla fine di iniziare a marciare.

L’elenco delle cose sospese non è difficile da fare. In prima fila c’è il DEF, cioè l’anticipo di strategia economica che ci siamo impegnati a fare con la UE, ma che dovremo comunque fare se vogliamo rispettare le scadenze imposte dalle nostre leggi. Come ci si orienterà non è dato sapere, anche se c’è in ballo una correzione di bilancio che oscilla fra 3,5 e 7 miliardi di euro (lasciamo da parte le stime più azzardate). Subito dopo c’è la questione migranti. Gli sbarchi sono in aumento, il numero di disperati che preme alle nostre porte è in crescita.

Certo su questo terreno c’è l’annuncio di un accordo col governo libico di Serraj. Peccato che si tratti di una misura molto costosa, che non si sa fino a che punto potrà contare su una partecipazione europea. Ma a pesare ancor più di questo è la situazione più che precaria del governo con cui abbiamo stretto l’accordo al quale dovrebbero andare molte attrezzature costose: navi, guardiacoste, radio, fuoristrada e altra roba per così dire delicata. Se il governo Serraj cadesse, il che non può essere escluso, in mano di chi finirebbe quel delicato materiale? Ma se non glielo diamo, addio alla possibilità che la Libia freni le partenze. Aggiungiamoci l’incognita del generale Haftar, rivale del governo insediato a Tripoli, che non solo controlla un altro pezzo strategico di quel paese, ma che ha l’appoggio della Russia e dell’Egitto.

Altra questione sospesa: la legge elettorale. Ci sono 29 proposte di riforma che giacciono in parlamento e dentro cui c’è di tutto. Al momento non si capisce quale sia la vera strategia dei partiti, perché delle chiacchiere in questa materia non c’è da far conto: sono cortine fumogene.

Ci se la cava dicendo che non si può far nulla sinché non si sblocca la questione congressuale nel PD, il che significa, ben che vada, sino ad inizi maggio. Ma ben che vada, perché se non ci sarà in quel partito un vincitore “robusto” il logoramento interno non avrà tregua. Comunque anche la presenza di una leadership salda nel partito parlamentare che è ancora chiave del supporto al governo non garantisce poi molto, perché rimarremo in campagna elettorale permanente con tutti i partiti alla spasmodica ricerca di qualche trovata per salvare la pelle o per portare a casa un buon risultato alle elezioni di fine legislatura.

Sulle incertezze che pesano sulla situazione potremmo andare avanti a lungo. Cominciamo dall’esito della prossima tornata di elezioni amministrative che verranno interpretate quanto meno come la verifica del successo attribuito al M5S nei sondaggi, della tenuta del PD e del posizionamento degli scissionisti del MDP. Anche in questo caso però il dato più interessante sarà il risultato che raccoglieranno FI da una parte e Lega e Fratelli d’Italia dall’altra, perché verrà interpretato come la premessa o come la fossa per la ricostruzione dell’alleanza di centro-destra. Da questo punto di vista le fibrillazioni di quelli che si definiscono “centristi” (Alfano e compagni) non vorranno dire molto, perché le amministrative non sono per loro un buon terreno di manovra.

Poi mettiamoci pure le incertezze che pesano più per folclore che per altro, cioè l’esito delle elezioni in Francia e Germania: muovono una quota molto piccola di elettorato. Piuttosto l’incognita grossa rimane l’universo dell’astensionismo, che non si riesce a capire se e quanto potrà essere ridimensionato.

In un contesto del genere Gentiloni lavora con pazienza, ma rischia di pagare il conto a tutti. I suoi, cioè i renziani e compagni, gli daranno tutte le colpe se non rianima il consenso popolare. Tutti gli altri avranno buon gioco a farlo colpevole di non avere raggiunto risultati che erano semplicemente impossibili.

Nei circa trecento giorni di governo che gli rimangono (se tutto andrà come si prevede oggi, il che non è detto) Gentiloni non potrà sottrarsi a mettere in campo qualche azione incisiva, il che significa anche divisiva. Non si può sempre fare come col referendum sui voucher, rifugiarsi in una ritirata strategica sicuri (a ragione) che tanto quello non fa vincere un sindacato miope.

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