Un nuovo tipo di parrocchia

A volte mi sembra che la vita delle comunità cristiane, sia una realtà con poca e vera comunità… da una parte il popolo che usa la Chiesa come erogatrice di Servizi per la Salvezza, dall’altra il clero che vive la propria funzione in uno stato di apparente solitudine. Vorrei sapere la tua opinione in merito: le parrocchie sono davvero oggi un luogo per sperimentare e vivere la fede cristiana, fede cristiana che ha nell'elemento comunitario il suo elemento centrale?

Gianfranco

La tua domanda coglie una sfida fondamentale per il cristianesimo del futuro, senza distinzioni di confessione: quella intorno alla natura e alla funzione della “comunità cristiana”. Facendo riferimento alla nostra realtà europea e guardando in particolare alla Chiesa cattolica (benché il mondo protestante presenti problemi ancora più gravi), sperimentiamo un cambiamento epocale che non riguarda soltanto la drastica diminuzione del numero dei sacerdoti, dei praticanti e dei credenti, ma pure, in positivo, una nuova consapevolezza da parte dei fedeli laici. Siamo in una fase di transizione. Viviamo dentro un modello, quello della parrocchia voluto dal Concilio di Trento, ormai però obsoleto. Un tempo esisteva una quasi perfetta identificazione tra la comunità civile e quella religiosa, che si legava in maniera indissolubile con il territorio di appartenenza; la vita cristiana ruotava completamente intorno alla parrocchia con una assoluta centralità del clero. Oggi queste caratteristiche si sono modificate: i legami territoriali sono più fluidi; sono apparsi gruppi e movimenti che hanno “corroso” il monopolio assoluto della parrocchia che tuttavia permane centrale soprattutto per l’amministrazione dei sacramenti e per le funzioni religiose. Ma la parrocchia è (è mai stata) una comunità?

Il tema potrebbe essere affrontato secondo varie angolature che assommano aspetti pastorali, questioni giuridiche e istituzionali, consuetudini sociali, elementi economici, bisogni di natura spirituale. Ovviamente occorre partire da questi ultimi, cioè dalla dimensione di fede. Qual è il senso della comunità cristiana, perché ci si ritrova in gruppo? Che significato ha la necessaria componente comunitaria del nostro sentirci parte della Chiesa?

È da sempre che “i seguaci della Via” (così venivano chiamati i primi credenti, quando ancora non si dicevano cristiani) si ritrovavano in un luogo – dapprima una semplice casa accogliente, poi le cosiddette domus ecclesiae, poi ancora le basiliche e infine le chiese come le conosciamo ora – per celebrare insieme il giorno del Signore. Essi si riunivano soprattutto intorno alla mensa eucaristica, momento della presenza viva di Cristo. Inoltre leggevano le scritture e svolgevano un’attività di servizio per gli altri membri della comunità. Se non esistono queste componenti, non ci può essere chiesa. Intorno a questo nucleo fondamentale si è poi sviluppata storicamente la parrocchia; in seguito l’oratorio e poi della struttura organizzativa giunta fino a noi.

Anche oggi una comunità cristiana deve possedere quelle caratteristiche. Nessuna innovazione può cancellarle. Non credo però che oggi le parrocchie forniscano un’educazione alla fede. Sono i luoghi dell’iniziazione cristiana, ma anche della “fuga” dei ragazzi dopo la cresima. Permangono come riferimento della Messa domenicale benché la penuria di preti stia facendo svanire questo ruolo. In parrocchia si fatica a sperimentare la fede. Accade sicuramente in certe età della vita, in particolari occasioni. Ma è nella ferialità che si concretizza la vita cristiana, non soltanto nei cosiddetti “momenti forti”. Penso che non dobbiamo cercare troppe “colpe”, ma cominciare noi stessi, secondo le nostre forze, a proporre idee nuove, a metterci in gioco. Sappiamo però quanto ogni tipo di comunità, ogni tipo di aggregazione, sia oggi in crisi.

Venendo a questioni più pratiche nella nostra diocesi si punta molto sulle Unità pastorali. Si tratta di una vera e propria “rivoluzione” perché l’idea non è quella di creare enormi parrocchie strutturate come prima, ma di sperimentare un nuovo tipo di parrocchia, policentrica, asimmetrica, legata a un territorio ma capace di seguire le vie virtuali che connettono tutto il mondo. Una parrocchia che diventa “comunità di comunità” in cui le realtà precedenti, ora accorpate, mantengono una loro identità grazie ai “comitati” che trovano posto nell’Unità pastorale.

Una struttura simile è stata proposta del teologo belga Arnaud Join-Lambert. Partendo dall’analisi della società moderna di Bauman, segnata dalla liquidità, Join Lambert immagina una parrocchia “solida” anche di grandi dimensioni (le nostre Unità pastorali o più ampie) gestita però da più preti che già tra di loro formano il primo nucleo di comunità e che sono coadiuvati da un gruppo di laici con mansioni e competenze diverse. Questa parrocchia, che possiede comunque un centro, poi dovrebbe essere articolata in una molteplicità di piccoli gruppi, anche piccolissimi, molto diversificati, che sorgerebbero intorno alle realtà ecclesiali già presenti, ma anche da iniziative individuali. E qui casca ancora il palco perché siamo troppo abituati a considerare la Chiesa come un’istituzione altra da noi, che eroga alcuni servizi, a cui chiediamo tutto senza offrire niente.

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