“Il martire è garanzia della presenza viva del Risorto”

“Buio e oscurità non hanno ucciso in lui il grido drammatico con cui si è consegnato nelle mani del Padre”

.

Lo stato di salute di una persona, di una società, di una comunità ecclesiale è direttamente proporzionale alla presenza dell’esperienza del “grazie”. Il segnale della patologia è, invece, la frequentazione del lamento. Dobbiamo riconoscerlo con molta onestà: in questo momento, esso è diventato addirittura “sistema”. La nostra vita è spesso segnata dal mormorare. I due discepoli di Emmaus sono, in tal senso, la nostra icona.

Anche le pagine dell’Antico Testamento denunciano ripetutamente la realtà nefasta del mormorare. Perché questo atteggiamento è tanto grave, oltre che fonte di tanta tristezza? La risposta va cercata, ancora una volta, nelle stanze oscure dell’autoreferenzialità e del narcisismo, dominate dalla paura degli altri e dall’allergia al fidarsi, al dare credito. Quando, guardando fuori di noi, vediamo solo nemici e avversari; quando le colpe sono sempre degli altri oppure tendiamo a diventare paladini di visioni e di cause soggettive, dando ad esse i caratteri dell’assoluto, allora rischiamo di porci fuori dalla realtà, per dirla con l’Apocalisse: “Ti credi vivo in realtà sei morto”. (Ap 3,1)

La nostra Chiesa, oggi, ha l’occasione di essere liberata da questo rischio. Mentre rende grazie per la testimonianza di padre Mario, scopre di essere stata grembo fecondo. Generare un Martire non è operazione da poco. Il Martire è garanzia della presenza viva del Risorto e del suo Santo Spirito.

Questa salutare provocazione illumina il cammino della nostra Chiesa. Essa non è chiamata tanto a generare operatori pastorali, ma testimoni della Bellezza seducente di Gesù di Nazareth. Ad essa ha continuato a far riferimento per tutta la sua vita il nostro Beato, Cristo è davvero stato il “chiodo fisso” della sua vita, mi si passi il termine, l’ossessione continua della sua ricerca. Per riprendere l’espressione che il Concilio Vaticano II riserva a Maria, altra “stella polare” nella vita di padre Mario, egli “ha peregrinato nella fede”, passando per la notte oscura del dubbio e dello smarrimento. Buio e oscurità non hanno però ucciso in lui il grido drammatico con cui si è consegnato nelle mani del Padre. A Lui ha affidato non un generico desiderio di dono, ma la sua stessa vita. Commovente è constatare che in questa offerta della vita Mario ha portato con sé, come frutto maturo del suo impegno missionario, il catechista Paolo.

La sfida per la nostra Chiesa di Trento, in questo momento, è intraprendere, sperando contro ogni speranza, la “santa peregrinazione” che la porti ad avere come solo tesoro il Cristo.

Come vescovo, provocato dal Beato Mario, non posso esimermi dal rispondere in prima persona e con tutti voi alla domanda di Gesù: “Voi chi dite che io sia?”  (Mt 16,15). Chiediamo di poter rispondere, aiutati dallo Spirito Santo, senza il quale la nostra risposta sarebbe velleitaria: “Tu sei la mia vita”, “Senza di te non posso vivere”, “I tuoi sentimenti, le tue parole, i tuoi gesti, mi fanno vivere.” Se non percepiamo Cristo come la nostra vita, ma semplicemente come un riferimento etico che si risolve in un generico: “impegniamoci per gli altri”, non avremmo futuro, non riusciremo a generare discepoli.

Nella vita di p. Mario ha avuto un posto fondamentale l’Eucarestia. Le sue riflessioni trasudano la sua irrefrenabile passione per il gesto Eucaristico, a cui annetteva la capacità di generare il dono di sé. Nel brano di Emmaus il pane spezzato apre i due discepoli alla missione: “Tornarono senza indugio a Gerusalemme”. (Lc. 24,33) Quanto vorrei che l’Eucarestia domenicale tornasse ad essere il centro della vita delle nostre comunità. La Parola e il Pane della vita sono il grande scrigno in cui troviamo la forza per edificare la comunità. Nel dono dell’Eucarestia ci viene regalata la Parola “altra” di Dio, che fa sentire gratificante occupare l’ultimo posto, il farsi servo, frequentare il perdono, donare la vita. E’ Il Pane dell’Eucarestia il farmaco dell’immortalità, che ci fa passare dalla morte alla vita, attraverso l’amore per i fratelli.

Infine, vorrei dire grazie ai nostri amici Hmong. Essi danno al nostro giorno di grazie, la gioia di sperimentare la fecondità della Pasqua del Signore “che raduna il suo popolo da un confine all’altro della terra” e ci permettono di constatare che per i discepoli di Cristo non esistono confini. O, meglio, i confini sono cerniere, inizio di libertà, creste dove l’orizzonte è più limpido.

vitaTrentina

Lascia una recensione

avatar
  Subscribe  
Notificami
vitaTrentina

I nostri eventi

vitaTrentina