Nel segno di Gino

Non solo fratello, molto altro e di più: aspirante medico, partigiano comunista, giornalista, maestro di impegno nella lotta per la libertà e la democrazia. "Gino Lubich, partigiano e giornalista", la biografia scritta dagli amici Giacomo Massarotto (scomparso a gennaio) e Piero Lazzarin, edita da Il Margine, è stata presentata a palazzo Geremia, nell'ambito delle manifestazioni del 25 aprile.

Cresciuto in una famiglia dalle diverse anime – padre socialista, una sorella che avrebbe fondato il Movimento dei Focolari -, ma nella libertà di perseguire obiettivi, condivisi, di pace e giustizia sociale, attraverso percorsi di vita diversi, ciò che emerge della personalità di Gino (1918-1993) è di essere sempre rimasto aperto al dialogo con tutti e con il mondo cattolico. Lo ha evidenziato il sindaco Andreatta nel suo saluto mentre il presidente dell'Associazione partigiani del Trentino Sandro Schmid ha ripercorso le tappe principali della sua vita: "Miseria e povertà del primo dopoguerra non lo privarono della volontà di continuare gli studi e nel 1942 iniziò a fare l'assistente all'ospedale S. Chiara dove entrò in contatto con i protagonisti dell'antifascismo, primo tra i quali il dottor Mario Pasi". Dopo la fuga di questi, divenne punto di riferimento dell'antifascismo e figura centrale della Resistenza trentina, venne arrestato e torturato nel carcere di Bolzano, da dove riuscì a fuggire. Negli anni del dopoguerra sperimentò la vocazione giornalistica prima alla redazione milanese dell’"Unità", poi a Roma e a Padova. "Quelli di Gino e Chiara sono percorsi paralleli – ha proseguito Schmid -: lui rimase agnostico, come il padre, ma ogni azione era ispirata a quell'ideale di giustizia sociale che lei praticò evangelicamente, lottando per l'unità della famiglia umana universale, convinta che non solo uomini e donne di tutte le religioni ma anche non credenti ne fanno parte e rappresentano per i credenti un pungolo a migliorare in vista della realizzazione di valori comuni".

"Il libro – ha commentato il direttore del Museo storico di Trento Giuseppe Ferrandi – permette di leggere la vita di un uomo coraggioso e coerente, non schiacciata dalla figura e dall'intenso rapporto con la sorella. Egli intese il partito come laboratorio di formazione democratica, apertura al pluralismo e confronto e da dirigente politico si impegnò a costruire relazioni e ponti: l'aspirazione all'unità che ha ispirato l'azione di Chiara, non è solo una categoria spirituale, con lui diventa anche la parola d'ordine del Partito Comunista e la durissima esperienza del carcere non gli tolse la voglia di lottare per cambiare le cose".

"Aveva una fede granitica nell'uomo, l'impegno per la pace era un dovere per lui e nei suoi editoriali emerge il sogno dell'unità, il suo stile si ritrova anche nel modo nuovo di raccontare le vite dei santi, uomini e donne con i loro chiaro-scuri e i piedi ben piantati per terra”, ha osservato Lucia Fronza Crepaz Chiara e Gino ci lasciano in eredità la consapevolezza che il nemico non è chi la pensa diversamente, ma chi dice che non vale la pena di lottare, e la necessità di tradurre gli ideali in vita".

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