La “costa degli schiavi” dal Togo alla Nigeria

Dal Togo alla Nigeria, passando per il Benin: 450 chilometri che evocano le sofferenze di decine di migliaia di uomini e donne

Togo, maggio – Abolita da due secoli, continua sotto traccia la schiavitù, in Africa. Nonostante l’impegno della Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (Ecowas) per debellare la tratta di milioni di esseri umani, il commercio degli schiavi è fiorente come e forse più che nel XIX secolo.

La “costa degli schiavi” si dipana per 450 chilometri, dal Togo alla Nigeria, passando per il Benin. Qui, la “porta del non ritorno” e “l’albero dell’oblio” evocano le sofferenze di decine di migliaia di uomini e donne transitati da quei luoghi per raggiungere le navi negriere, al largo, sul golfo di Guinea. In Togo, la “maison des esclaves”, la casa degli schiavi, è un poco rientrata dalla costa, un chilometro circa dall’oceano, ad Abdodrafo. Assomiglia all’altra celebre casa-prigione sull’isola di Goré, al largo di Dakar, in Senegal, dalla quale passò buona parte di quei quattordici milioni di esseri umani che furono incatenati e resi schiavi per il profitto dei “fazendeiros” del Nuovo mondo. Molti anni dopo alcuni discendenti di quegli schiavi tornarono a casa. Cercarono le tracce di quell’abominio della loro storia familiare, finché individuarono l’ultima prigione degli antenati, ammassati sotto il pavimento in attesa di essere imbarcati sulle navi negriere. Oggi, quell’edificio un po’ fatiscente è patrimonio mondiale dell’umanità.

Una targa ricorda che “Il 14 febbraio 2007, mercoledì, per i duecento anni dall’abolizione della schiavitù, invitato dal presidente della Repubblica del Togo, Gnassingbe, il direttore generale dell’Unesco, Koichiro Matsuura, visitò la Maison Wood, la casa degli schiavi a Agbodrafo”.

In verità, se la schiavitù fu abrogata ufficialmente dalla Gran Bretagna nel 1807, imitata e seguita da altre Nazioni europee, il commercio di esseri umani non conobbe sosta fino a tutto il XIX secolo. La “maison des ésclaves” del Togo fu attiva almeno sino al 1853.

Donato Benedetti, missionario comboniano di Segonzano, (“Benedetti” quei genitori di Teaio che lo hanno “Donato” all’Africa) che arrivò in Togo nel 1994 ci ha accompagnati fin dentro l’edificio. Commosso, ha ascoltato con noi il racconto del custode, discendente da una famiglia di schiavi. Sulla porta d’accesso alla “maison”, una tavola con disegnato uno schiavo incatenato e la scritta: “Plus jamais esclavage”, mai più la schiavitù.

“Il fatto è – dice il religioso comboniano – che la schiavitù non è stata affatto abolita. Anche oggi migliaia di persone sono tenute in schiavitù da famiglie facoltose. Per esempio, qui in Togo prelevano le bambine dai villaggi nella brousse e le 'vendono' per qualche spicciolo a famiglie ricche, di Lomé e altre città della costa. Le chiamano 'les bonnes', le serve. Crescono facendo i servizi più umili, spesso violate, analfabete perché non possono andare a scuola. Tornano al villaggio dell’infanzia ormai malate, soltanto per morire”.

È quanto confermato anche da altri operatori, come “Espace fraternité”, un’associazione umanitaria del Togo, da anni impegnata nel “riscatto” delle ragazze schiavizzate. Se ne occupò quattro anni fa il quotidiano cattolico Avvenire. Scriveva Matteo Fraschini Koffi: “Alcune statistiche parlano di circa dieci milioni di persone all’anno che migrano per gli Stati dell’Africa occidentale e rischiano di essere trafficate”. Il direttore di “Espace Fraternité” aveva dichiarato ad Avvenire: “Con la crisi economica e il rapido aumento della nostra popolazione, i casi di tratta aumentano quotidianamente”.

Il custode della “casa degli schiavi”, a Agdobrafo, dice che il suo impegno è quello della memoria, ma conferma l’attualità. Racconta che i suoi antenati erano gettati nel sotterraneo della casa, attraverso una botola, ammassati come animali, costretti ad attendere piegati e piagati le navi negriere. Restavano nascosti anche varie settimane, perché bene o male le autorità del tempo cercavano di contrastare la tratta. La notte che erano imbarcati, gli schiavi erano fatti uscire da pertugi nel muro di cinta. Incatenati e bendati erano costretti a girare per sette volte attorno a un pozzo, nel tentativo di far perdere loro l’orientamento e far così dimenticare la strada di casa.

I discendenti sono tornati, lottano come possono perché l’abolizione sia effettiva. Ma il commercio di esseri umani resiste: dall’Africa alle strade di periferia delle nostre città. Basta uscire la sera per verificare il buio della ragione e dell’umanità che riportano indietro di secoli l’orologio della storia.

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