Comunità parrocchiali in crisi… come le famiglie

Ho letto con grande attenzione le riflessioni sulla comunità parrocchiale apparse su Vita Trentina. Mi domando perché il nostro vescovo Lauro non interpella anche i cristiani laici, che potrebbero dare delle indicazioni. Si continuano a fare nelle parrocchie ore di adorazione per le nuove vocazioni, invece di pensare ai rimedi: la messe è tanta gli operai sono pochi. Penso che le comunità parrocchiali soffrano della stessa crisi che investe le famiglie. È del tutto evidente che se non c’è una mamma o un papa che porta i ragazzi alla Messa, è illusorio pensare ad una rinascita della parrocchia. Ultimo problema è la qualità delle prediche. Credo che ci sarebbero molti laici capaci di affrontare i testi evangelici meglio di molti preti. Sei d’accordo?

Giovanni

È di qualche settimana fa la notizia che l’Arcidiocesi di Monaco di Baviera, guidata dal Cardinale Reinhold Marx (che è anche presidente della Conferenza Episcopale tedesca), avvierà una sperimentazione di parrocchie gestite esclusivamente da laici. Il tentativo nasce dalla constatazione della difficoltà dei progetti alternativi messi in campo negli anni scorsi: creare parrocchie molto grandi oppure affidare molteplici parrocchie ad unità pastorali che – nei fatti – si traducono in un unico presbitero che guida più comunità. Una fatica alla lunga insostenibile. Così più o meno avviene dappertutto.

Delegare ai laici la parrocchia sarebbe una rivoluzione che non svilirebbe affatto il ruolo del prete. Anzi. La dignità sacerdotale rimarrebbe intatta solo che si sgraverebbe da numerosi oneri (burocrazia, animazione dei gruppi, anche la catechesi…). Oggi il prete è ancora “tutto”. I cristiani “adulti” come dici tu stanno in disparte o sono lasciati in disparte. Credo però che il vescovo Lauro si consulti con i fedeli laici. Forse bisognerebbe creare un gruppo, esterno alla Curia o agli uffici diocesani, che liberamente prospetti idee innovative. Non è forse questo il momento dell’audacia come dice Papa Francesco?

La soluzione comunque non può essere soltanto organizzativa. È sicuramente necessario un cambiamento di mentalità. Forse anche di dottrina. Per ora siamo rimasti allo schema tradizionale che vede la Messa domenicale come precetto obbligatorio. Così, in un certo senso, il clero si sente chiamato a garantire la celebrazione festiva nella chiesa più vicina possibile a dove abitano i fedeli, spesso anziani: la parrocchia del paese oppure del quartiere. Ed ecco il fenomeno dei preti volanti che sono costretti a frenetiche corse proprio nel giorno del Signore, in cui bisognerebbe anche riposare! Di converso i cristiani non sono abituati a spostarsi. Non esiste un’idea di comunità di appartenenza. Questo forse perché nei decenni passati tutto si era individualizzato a discapito della comunità. Era il singolo che doveva adempiere al precetto, punto e basta. Oggi che, per molteplici motivi, ognuno fa un po’ quello che vuole, il precetto non è più sentito come coercitivo e se la celebrazione liturgica avviene a distanza di qualche chilometro, si preferisce stare a casa.

Il problema è dunque quello di ricostruire un senso di comunità. Nell’ebraismo per esempio non viene richiesto al fedele di partecipare al rito sinagogale del sabato. Non è raccomandato parteciparvi. Tuttavia il singolo deve garantire che in Sinagoga si raggiunga il numero minimo di partecipanti affinché la comunità sia rappresentata: nell’ebraismo ortodosso questo numero è fissato in 10 uomini. Si capisce che, in un certo senso, la comunità è superiore all’individuo. Davanti a Dio ci deve essere una minima frazione del popolo, così nella celebrazione eucaristica dovrebbe esserci almeno una porzione di Chiesa.

Sarebbe davvero bello che ciascuno di noi si sentisse chiamato non solo a partecipare individualmente alla Messa domenicale, ma anche a garantire che la propria comunità di appartenenza raggiunga alcuni requisiti minimi per essere considerata tale. Ognuno ha un carisma diverso. Il parroco è bravo a seguire la pastorale? Perché allora non si trova un laico capace di fare bene l’omelia e il commento della Scrittura? È arrivato il tempo che si dica con chiarezza che la comunità per essere tale deve avere chi si occupa della liturgia, chi del servizio agli altri, chi della formazione e della predicazione, chi dei canti, chi della gestione dei beni materiali. Il prete non può più fare tutto. Ma il clero dovrebbe essere chiaro anche con i laici: tutti facciamo parte della stessa Chiesa, abbiamo bisogno che voi prendiate le vostre responsabilità. Se una comunità, una parrocchia, non riesce a garantire alcuni requisiti (da individuare certamente) allora deve essere soppressa. Oggi potrebbe essere davvero il momento favorevole per l’assunzione di questa responsabilità.

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