Difesa comune, interessi di pochi

Rete disarmo: “Al Consiglio europeo non un’intesa sulla cooperazione militare, ma fondi all’industria delle armi, senza impatto sulla sicurezza dei cittadini europei”

Come rendere l’Europa più sicura, sostenibile e prospera per i suoi cittadini? L’altra settimana a Bruxelles il Consiglio europeo di giugno ha trovato l’accordo unanime per rafforzare la sicurezza e la lotta al terrorismo, la decisione sul fondo per la difesa, il contrasto alla radicalizzazione anche attraverso Internet, oltre al rinnovo delle sanzioni economiche alla Russia per sei mesi da luglio. La difesa comune: “Dal 2020 ci saranno 5,5 miliardi per gli investimenti nell’industria militare, grande motore di crescita”, ha sottolineato enfaticamente l’Ansa riportando gli esiti dell’appuntamento tra i leader Ue. Che le guerre facciano bene all’economia è un’idea dura a morire. Eppure il recente convegno “Economie di pace” promosso dal Forum Trentino per la pace e i diritti umani (vedi Vt n. 25/2017) in proposito ha espresso concetti chiari: no, le guerre non fanno bene all’economia. E attenzione, avverte la Rete italiana per il disarmo: quella che è stata presentata come un’intesa sulla cooperazione militare e sulla lotta ai cosiddetti “foreighn fighters” è in realtà, a ben guardare, piuttosto un’intesa su fondi di sussidio all’industria militare europea, “con nessun impatto sulla sicurezza”. 500 milioni di euro all’anno, osserva Rete disarmo, sottratti invece agli investimenti civili.

Le organizzazioni pacifiste che si riconoscono nella rete Enaat (European Network Against Arms Trade), di cui anche Rete Disarmo fa parte, denunciano da tempo proposte che cambiano faccia all’UE, dove, accusano, il complesso militare-industriale si è ormai decisamente fatto strada. E con una petizione online, tradotta in cinque lingue, hanno chiesto ai cittadini europei di esprimere la loro contrarietà all’uso di fondi pubblici della UE per ricerca e sviluppo di nuovi armamenti. In quasi 120.000 hanno chiesto con chiarezza: ”UE, non investire in armi!”.

“Decine di migliaia di europei – in particolare da Francia, Gran Bretagna, Germania, Spagna e Italia – si sono mobilitati per dare un segnalo chiaro ai propri governanti: vogliono vivere in una Unione sicura, ma non credono che ciò si possa ottenere spendendo miliardi di euro in armi”, ha detto Virginia López Calvo di We Move Europe (WeMove.eu).

“L’Unione Europea è ad un bivio: sostenere una Pace poco finanziata o contribuire alla corsa globale agli armamenti?”, ha scritto la Rete italiana per il disarmo, stigmatizzando il fatto che la Commissione Europea abbia proposto ai primi di giugno di aggiungere 500 milioni di euro sia nel 2019 sia nel 2020 alla fase di sviluppo nuovi prodotti militari già iniziata con 90 milioni di euro destinati alla “Azione Preparatoria per la ricerca nella difesa”, un programma “che ha visto per la prima volta l’utilizzo di fondi europei in ambiti militari e che copre il periodo 2017-2019”. “Dal 2021 queste cifre già enormi dovrebbero crescere ulteriormente – rimarca Rete disarmo, “raggiungendo il totale di 1,5 miliardi di euro all’anno sia per la ricerca che per lo sviluppo di nuovi prodotti e tecnologia militare. Questo piano proposto dalla Commissione porterà automaticamente ad un taglio drastico di altre attività di natura civile, poiché il budget europeo attuale è rigidamente fissato per ogni anno, ed è poco probabile che gli Stati Membri dedicano di aumentare i propri contributi dopo il 2020 (senza dimenticare la perdita dei fondi britannici quando verrà definita e formalizzata la cosiddetta Brexit)”.

L’obiettivo principale e dichiarato di queste nuove misure “è quello di rafforzare la competitività dell’industria a produzione militare, inclusa la sua capacità di esportazione”, conclude Rete disarmo. “Il risultato più plausibile di questo nuovo fondo per la difesa sarà quello di vedere massicciamente esportata della tecnologia militare pagata con i soldi della UE, contribuendo dunque ad aumentare negativamente la corsa agli armamenti. Ciò ha veramente poco a che fare con la protezione dei cittadini europei”, ha osservato Laëtitia Sédou di Enaat.

Le motivazioni a supporto di queste scelte (“più crescita e posti di lavoro”) non hanno un fondamento reale e robusto, sostiene l’Enaat: Un migliore uso dei soldi dei contribuenti “sarebbe quello di concentrarsi sullo sviluppo delle energie rinnovabili e sulla cura dell’ambiente”, contribuendo così oltre tutto ad affrontare le vere cause dell’instabilità globale come il cambiamento climatico e l’accesso alle risorse naturali.

Le organizzazioni della rete Enaat, sostenute da alcuni tra i principali attori europei di finanza etica, tra cui la Fondazione Finanza Etica, invitano a preservare la dimensione unicamente civile dei fondi di investimento dell’UE: le sovvenzioni all’industria delle armi non porteranno né pace né occupazione e crescita, ma contribuiranno solamente al profitto privato e ad un riarmo globale, sostengono.

vitaTrentina

Lascia una recensione

avatar
  Subscribe  
Notificami
vitaTrentina

I nostri eventi

vitaTrentina