Donne oltre le frontiere

La rubrica “Donne oltre le frontiere” ha raccontato esperienze positive di vita di donne immigrate in Trentino, andate in onda sulle frequenze di radio Trentino inBlu. Un secondo ciclo di cinque puntate della durata di 10 minuti ciascuna andrà in onda dal 15 settembre al 30 novembre 2017

Esperienze positive di donne di origine straniera che sono riuscite ad emergere sul piano professionale o nel volontariato nella società trentina sono state raccontate a radio Trentino inBlu nella rubrica “Donne oltre le frontiere”, realizzata da radio Trentino inBlu con il contributo dell'Ufficio per le politiche di pari opportunità e conciliazione vita-lavoro della Provincia Autonoma di Trento.

Il progetto, realizzato nel corso del 2017 e articolato in varie trasmissioni radio sull'emittente diocesano, ha voluto cogliere anche alcuni punti di vista di uomini immigrati lavoratori, mariti e padri di famiglia, per comprendere cosa rende possibile mantenere l'equilibrio familiare quando anche la moglie e la madre si trova a impiegare parte del tempo al di fuori della famiglia.

L’obiettivo principale del progetto “Donne oltre le frontiere” è in particolare quello di contribuire a ridurre gli ostacoli che direttamente o indirettamente impediscono la realizzazione delle pari opportunità tra donne e uomini che possono derivare anche dall’appartenenza a differenti culture o religioni.

La realtà trentina ci mostra che – anche se poche, rispetto alla maggioranza – ci sono donne straniere che sono riuscite a salire la scala professionale e ad occupare posti di rilievo nel mercato del lavoro oppure ad affermarsi nell’ambito del volontariato, occupando ruoli come presidente di una cooperativa o di un'associazione, mediatore culturale, insegnante, ecc.

Alcune di queste donne, pur appartenendo a una cultura d'origine che appare limitante per l'emancipazione della donna, è diventata protagonista del proprio percorso professionale riuscendo a conciliare il lavoro con la vita familiare, con la crescita dei bambini, con la religione e con la cultura di origine.

Il racconto di queste esperienze vuole contribuire ad abbattere pregiudizi e stereotipi da parte della comunità, ma anche da parte delle stesse donne immigrate, che talvolta hanno timore a bussare alle porte di un mondo a loro sconosciuto. Ciò è tanto più vero se il loro percorso migratorio è stato dettato dalla necessità del ricongiungimento familiare e dal desiderio di mantenere la famiglia unita.

Riproponiamo le cinque storie di donne su queste pagine, segnalando che è possibile ascoltare le voci di que donne sul sito www.trentinoinblu.it.

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L'esperienza / 1

Doina, imprenditrice artigiana

Doina Protuc, cittadina portoghese originaria della Repubblica Moldova

Doina Protuc è la titolare dell’azienda Soffitto3D che ha sede a Trento. La rintracciamo attraverso Internet. E' una cittadina portoghese originaria della Repubblica Moldova e vive in Trentino da circa otto anni. Nello studio dove ha sede la sua azienda e dove ci racconta pezzi della sua storia di vita si notano sui muri le immagini dei suoi lavori in bassorilievo. Doina ha 37 anni, una famiglia con due figli e un’azienda artigiana da mandare avanti.

Si è laureata nella Repubblica Moldova, il suo paese d'origine, in psicologia e logopedia. Poco tempo dopo è emigrata in Portogallo per seguire il giovane moldavo che ha sposato e che era già diventato cittadino portoghese. Il primo lavoro svolto nel nuovo paese è stato quello di stiratrice in una fabbrica.

Dopo essere diventata madre, Doina ha deciso di cambiare la sua vita lavorativa e ha frequentato un corso di formazione per tecnici installatori di pannelli solari. L’attestato ottenuto le ha permesso di trovare un lavoro in un’impresa edile con la mansione di realizzare preventivi per controsoffittature e altri lavori nell’ambito delle costruzioni.

Per vivere più vicino ai parenti, dopo 10 anni trascorsi in Portogallo si è trasferita assieme alla sua famiglia in Trentino.

“Abbiamo dovuti ricominciare tutto da zero”, spiega Doina “Siamo arrivati a Trento con una Renault 19 e con dieci anni di vita dentro il portabagagli”.

All'inizio, in Trentino, è riuscita a trovare lavoro solo lei come colf e barista. Nel frattempo, con qualche sforzo, ha fatto l'equipollenza della laurea conseguita in Moldova e ha tentato l’avventura di avviare la propria impresa.

”Sono diventata artigiana – dice la donna – pensando che non sarebbe male introdurre anche sul mercato del Trentino – Alto Adige la controsoffittatura, e anche esercitare la mia passione che è il bassorilievo, lavori artistici fatti cento per cento artigianalmente. E’ così è nata l'azienda Soffitto3D”.

Il sostegno del marito e dei figli è stato sempre molto importante per la giovane imprenditrice. Ma la forza di Doina ha radici nel suo Paese, la Repubblica Moldova. “Io sono cresciuta in un paese comunista dove c'era la parità tra maschi e femmine, dove era normalissimo che la donna guidasse un trattore o un autobus, oppure che fosse alla guida di un'azienda e anche di una grande fabbrica. In Italia invece penso che sia ancora difficile per le donne emergere nell'ambito del lavoro, e in particolare per le donne immigrate”, conclude Doina.

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L'esperienza / 2

Usman, tecnico agrario

M. Usman Hafeez, originario del Pakistan

Si chiama M. Usman Hafeez, ha 29 anni, è originario del Pakistan e vive in Italia da oltre 6 anni. Accetta volentieri di raccontarci alcuni aspetti della sua esperienza di immigrazione e di esprimere anche il suo punto di vista sulla condizione della donna nella cultura pakistana.

Usman è venuto in Italia innanzitutto per raggiungere la donna che aveva sposato. “Io stavo facendo la laurea specialistica in agricoltura, in Pakistan, quando mi sono sposato con una donna pakistana che si trovava già in Trentino”.

Una volta giunto in Italia Usman ha ripreso gli studi e ha frequentato un master in ortofrutticoltura presso l'Università di Bologna. Fino a qualche mese fa, quando la fondazione Mach gli ha proposto un lavoro nel suo campo professionale, il giovane pakistano ha svolto il lavoro  di mediatore culturale.

Per quanto riguarda la condizione della donna in Pakistan, Usman spiega che nelle piccole località le donne sono meno inserite nel mercato del lavoro, mentre nelle grandi città possono occupare anche ruoli importanti e studiare, in gran parte medicina. Ci sono poi anche delle zone del Pakistan nelle quali sono prive della libertà di andare a lavorare a causa degli ostacoli culturali.

“In generale, in Pakistan – afferma il giovane – si pensa che la donna debba gestire la casa, un lavoro difficile da fare, e che quindi sia l'uomo a dover lavorare fuori casa. In questo modo la donna può avere tempo anche per rilassarsi”.

Parlando invece della situazione delle donne pakistane nel mercato del lavoro in Trentino, secondo il giovane pakistano dovrebbero avvenire dei cambiamenti sia nella società locale sia nella comunità pakistana, perché le pari opportunità ci sono ancora solo in teoria. “Io parlo di mia moglie, che è qua da 18 anni – precisa Usman -; lei ha fatto le scuole medie e superiori in Italia, ma è stato lo stesso difficile trovare un lavoro, in quanto veniva vista per la sua cultura d'origine, perché portava anche il velo, una volta. Mi ricordo ancor ora la delusione forte che l'ha presa quando era sul punto di essere assunta presso un'azienda, ma poi tale opportunità sfumò perché lei non era in possesso della cittadinanza italiana”.

Usman è ottimista però riguardo al futuro, in quanto ci sono tante persone e associazioni che lavorano per l'integrazione. Comunicando il messaggio giusto, pensa che si possa migliorare l'inclusione sociale anche della comunità pakistana.

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L'esperienza / 3

Sumera, mediatrice culturale

Sumera Usman, originaria del Pakistan

Sumera Usman è una donna di origine pakistana di 31 anni arrivata in tenera età in Italia assieme alla madre e ai fratelli a seguito del ricongiungimento familiare richiesto dal padre, che viveva già in Trentino da diversi anni.

A Trento ha frequentato le scuole medie e le superiori e si è diplomata come ragioniera. Una mansione che non è riuscita mai a svolgere finora: “In cambio – racconta la giovane pakistana – ho lavorato per qualche tempo come impiegata e inserimento dati”.

Secondo Sumera, una volta era più facile trovare lavoro. Armata di coraggio e di buona volontà ha fatto delle ricerche di lavoro da sola e ha bussato alle porte di numerose aziende. Non è riuscita a mantenere a lungo il lavoro come impiegata perché nel frattempo si è sposata ed è diventata madre di due figli.

Ora lavora come mediatrice interculturale per l'Azienda Provinciale per i Servizi Sanitari, la Questura e in altri ambiti sociali. Trattandosi di un'occupazione flessibile, può gestire la famiglia con più facilità, ma non senza il contributo del suo marito, anche lui pakistano. “Per me – spiega la giovane pakistana- la cultura d'origine non è un ostacolo che non si può superare. Queste scelte di studiare, di imparare la lingua, di non portare il velo, di lavorare, sono mie personali, non dipendono da mio marito e dalla mia famiglia”.

Non tutte le donne pakistane, però, possono scegliere liberalmente di studiare o lavorare. E lo conferma anche Sumera. “Il mio sogno era quello di andare avanti con l'università e studiare medicina – confessa -, però, siccome i miei genitori hanno mantenuto la cultura pakistana, le nostre usanze e le nostre abitudini, anche qui in Trentino, mi hanno ostacolato nel realizzare i miei desideri. Quindi ci sono stati problemi, ma non mi sono demoralizzata e sono andata avanti facendo comunque le mie scelte”.

In generale, le donne pakistane devono sottostare alla volontà della famiglia o mettere comunque in primo piano le esigenze familiari, spiega Sumera, perché ci sono anche donne che vorrebbero imparare la lingua italiana e lavorare, però con i bambini a casa e senza l'aiuto del marito si vedono costrette a rinunciare.

Per la giovane Sumera invece è molto importante che le persone immigrate, e tra loro anche le donne pakistane, imparino la lingua italiana, uscendo con i bambini al parco o accompagnandoli a scuola: potrebbero così scambiare qualche parola con gli altri genitori; altrimenti resteranno chiuse e isolate rispetto alla società nella quale vivono.

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L'esperienza / 4

Salamata, mediatrice culturale

Salamata, cittadina italiana originaria del Burkina Faso

Salamata è una cittadina italiana originaria della zona del nord del Burkina Faso. Ha 49 anni e da 27 anni vive in Trentino. Ha lasciato il suo paese d'origine per amore all'età di 21 anni. Lui era trentino e si trovava in Burkina Faso come volontario internazionale nel campo agricolo. Nonostante l’incertezza iniziale, la paura del clima e di non essere capita, la giovane africana ha accettato di sposarsi e di seguire il marito in Italia. In Burkina Faso stava per concludere la maturità e ottenere il diploma come segretaria d'azienda. Ma il suo sogno era quello di insegnare. Sapeva però che in Italia rischiava di dover lasciare questo sogno nel cassetto, che insegnare sarebbe stato quasi impossibile.

“Da allora sono passati 28 anni – dice Salamata – e a distanza di tutti questi anni posso dire che ho realizzato più di quanto pensavo. Non è facile entrare in un ambiente estraneo, però fai di tutto per entrarci come essere umano e se sei accolto non ti rimane che dimostrare le tue capacità e competenze”.

Nel corso degli anni Salamata è riuscita a sostenere l’esame di maturità e a completare un corso triennale di counseling biografico. Ha lavorato come educatrice presso una cooperativa sociale che si occupa di minori e ha fatto diverse altre esperienze. E’ poi diventata mamma di tre figli.

Salamata è riuscita a conciliare il lavoro con le esigenze familiari grazie al suo impegno lavorativo quotidiano che è stato quasi sempre esercitato in un part-time. In passato inoltre per 23 anni ha avuto accanto la suocera trentina come una mamma che l'ha sempre sostenuta e aiutata con i figli. Ora invece cerca di dividere la gestione della famiglia con suo marito.

Salamata non ha una ricetta per abbattere la diffidenza nei confronti dei migranti, soprattutto se di colore. E’ difficile, ci spiega, far capire alla comunità l'importanza di non avere paura. Bisogna agevolare in tutti i modi la conoscenza reciproca, sottolinea. “Quello che blocca è l'accoglienza. Se non sei accettata, se non sei accolto non riesci a dispiegare al meglio le tue potenzialità e far conoscere il tuo bagaglio culturale, che può diventare una ricchezza per il paese che ti accoglie”.

Per quanto riguarda le pari opportunità tra uomo e donna, in Trentino, la legge dà pari opportunità. In Burkina Faso la legge dà ugualmente pari opportunità nel mondo del lavoro, ma la società deve ancora evolvere in tal senso. Secondo Salamata, la donna ha tanto ancora da lavorare in questo campo ovunque, quindi non è facile né in Italia né in Burkina Faso.

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L'esperienza / 5

A.M, presidente di una cooperativa sociale

A.M., cittadina italiana originaria del Marocco

A. M. è una donna venuta in Italia nel 1990 per continuare il suo percorso di studi universitari nell'ambito della chimica. Ma il destino ha voluto diversamente e la giovane donna del Marocco ha cambiato completamente il suo percorso in ambito lavorativo e oggi è occupata nel settore dell'immigrazione.

“Non è che mi dispiaccia non aver sfruttato il mio titolo di formazione professionale principale, in quanto mi sono formata in un altro campo”, dice a distanza di tanti anni dalla sua scelta.

Il percorso lavorativo di questa donna marocchina in Italia è stato una lunga marcia con tanti passi faticosi. Questo anche perché si tratta di un lavoro che è stato creato da un gruppo di giovane donne di origine straniera e italiane, che hanno contribuito con le loro iniziative e le loro idee, partendo dalle loro volontà e dalla loro cultura d'origine, soprattutto. Un lavoro che consiste nell'offrire agli enti pubblici un servizio di mediazione interculturale e di supporto ai cittadini stranieri in terra trentina.

Alla guida prima di un'associazione e poi di una cooperativa a Rovereto è stata sempre A.M.. “Fare la presidente di cooperativa è un impegno – spiega – che sono riuscita a conciliare con la mia vita quotidiana”. Un impegno svolto con grande responsabilità, da una parte con l'appoggio del consiglio di amministrazione della cooperativa che in passato aveva come membri non solo persone immigrate, ma anche persone italiane di Rovereto, e dall'altra parte con il sostegno sostanziale della sua famiglia, di suo marito, pure lui originario del Marocco, e dei suoi due figli.

Lungo questo cammino in Trentino come donna di religione musulmana, presidente di una cooperativa, madre e moglie, A.M. ha imparato a non badare ai pregiudizi e a guardare il sempre il lato positivo di quanto la vita le offre. Per quanto riguarda l'integrazione delle donne musulmane in Italia, A.M. dice che “le notizie negative sugli immigrati veicolate attraverso i social network non favoriscono il loro processo di integrazione. Ma le donne dovrebbero reagire e uscire di casa, ad esempio per accompagnare i figli a scuola o per andare al supermercato a fare la spesa, studiare la lingua e – perché no? – anche lavorare”. A.M. precisa però che lei non pensa di parlare a nome di tutte le donne musulmane, lei parla per se stessa. “Sono originaria del Marocco, sono musulmana, sono donna, da 27 anni vivo in Trentino, ho la cittadinanza italiana, ma sento che agli occhi degli italiani resto sempre una straniera”, conclude.

A cura di Magdalena Luca

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