“Il seminatore uscì a seminare…”

Is 55,10-11;

Sal64;

Rm8,18-23;

Mt 13,1-23

Quando ci troviamo improvvisamente a corto di argomenti in una conversazione con una persona appena conosciuta, dopo qualche istante d’imbarazzo, ricorriamo a un argomento classico,al tempo, infarcendo la nostra chiacchierata a seconda della stagione di luoghi comuni del tipo: «Non nevica più in inverno» oppure «dovrebbe piovere».

Se il nostro interlocutore è un contadino, ci farà notare con esempi molto concreti che la siccità è un problema tutt’altro che banale, come lo è la mancanza di precipitazioni nevose per le nostre riserve idriche. Stiamo parlando di cose serie, se pensiamo che i cambiamenti climatici di questi ultimi anni con la conseguente scarsità di precipitazioni prefigurano un futuro cupo, dove l’acqua diventerà un bene così prezioso da scatenare conflitti bellici, pur di accaparrarselo.

Il profeta Isaia nella prima lettura di domenica usa le immagini della pioggia e della neve, per indicare l’efficacia della Parola di Dio. È il Signore che dice: «Come la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza avere irrigato la terra…, così sarà della mia parola: non ritornerà a me senza effetto…». Isaia si rivolge al popolo eletto, esule in Babilonia, che ormai dispera di ritornare nella terra dei padri. Proprio quando Israele sta per perdere ogni speranza, Dio attraverso il suo araldo alza la sua voce per confermare l’irrevocabilità delle sue promesse.

La Parola porta in sé le certezze di Dio: esce dalla sua bocca come pioggia benefica, che irriga il nostro cuore arso di amore e alla perenne ricerca di risposte rassicuranti alle sue innumerevoli domande; scende dal cielo come neve, che copre il terreno della nostra vita,in cui è conservato il seme prezioso della grazia, e lo protegge dal rigido inverno delle seduzioni terrene, affinché ai primi tepori, che annunciano la bella stagione finalmente riscaldata dal sole della presenza divina, si risvegli, getti i suoi germogli, cresca e maturi in una miriade di spighe, ricche di opere buone.

«Ecco, il seminatore uscì a seminare», con queste parole Gesù inizia la parabola, che ascolteremo nel vangelo. Egli ci presenta Dio, il protagonista del racconto, come un agricoltore generoso, che sparge la sua semente, il dono della sua Parola, in ogni dove, sperando contro ogni speranza che raggiunga tutti e attecchisca ovunque, anche dove – ci direbbero i nostri contadini – il seme fatica a mettere radici e a crescere. Infatti, «una parte cadde lungo la strada» e ci pensarono gli uccelli a divorare quei semi prelibati; «un’altra parte cadde sul terreno sassoso», ma il sole bruciò i suoi germogli; «un’altra parte cadde sui rovi» che, una volta cresciuti, la soffocarono. Finalmente, «un’altra parte cadde sul terreno buono e diede frutto: il cento, il sessanta e il trenta per uno».

L’immagine della strada, su cui finisce il seme della Parola, è quanto mai eloquente: richiama il passaggio, la velocità e la fretta. Quando qualcuno s’intrattiene con noi, ci chiede di fermarci, di prestargli attenzione e di donargli almeno qualche istante del nostro tempo. L’ascolto esige calma interiore: le parole hanno bisogno di spazi di silenzio per essere accolte e comprese, per dilatarsi e sedimentarsi in noi. Se mettiamo fretta a Dio, tutto di lui ci sfugge, la sua Parola viene umiliata dalla banalità di un approccio superficiale, che la svuota del suo valore e la impoverisce dei suoi contenuti più profondi.

Il terreno sassoso, su cui s’impiglia il seme della Parola, ci ricorda che un cuore entusiasta, ma incostante e senza spessore rischia di vanificare la novità dell’annuncio: per essere accolto il messaggio divino ha bisogno di cuori fecondi, appassionati, che permettano alla Parola di penetrare in profondità, di fissare le sue radici, di crescere e di espandersi, diventando fonte di perseveranza nell’ora della prova.

La presenza dei rovi, che ammutoliscono l’annuncio divino, respingendola Parola nel suo nascere, ci rende consapevoli che viviamo in una società dove contano altre parole, che spronano a farsi strada, imponendosi sugli altri e creandosi sicurezze meramente terrene. Dio, al contrario, ci parla di altre priorità come la gioia della condivisione, la generosità dell’altruismo e la realizzazione di sé nell’offerta della propria vita fino al sacrificio per amore.

Non si rassegna il Contadino celeste, ha fiducia, sa che in ogni cuore accanto ai sassi e alle spine c’è una zolla di terra buona: l’ha preparato lui quel terreno, l’ha mescolato con le sue mani e, compiaciuto, «vide quanto aveva fatto, ed ecco era cosa molto buona» (Gen 1,31). Ogni giorno semina in modo sempre nuovo la sua Parola in noi e nel mondo intero e attende con eterna pazienza che arrivi la stagione dei frutti: «il cento, il sessanta, il trenta per uno».

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