Il Papa in Colombia per appoggiare gli sforzi di pace

Papa Francesco vola in Colombia dal 6 all’11 settembre, in occasione della beatificazione di due martiri colombiani il prossimo 8 settembre (mons. Jesús Jaramillo Monsalve, vescovo di Arauca, e il sacerdote Pedro María Ramírez Ramos, chiamato “el cura de Armero”), col motto preciso “Demos el primer paso”, “Facciamo il primo passo”. È davvero un momento storico, questo per la Colombia, perché il processo di pace innescato dal presidente Juan Manuel Santos tra potere militare e paramilitare (potentissimo, strabordante in quanto a rapporti di forza, devastante per i diritti dei più deboli) e i guerriglieri delle Farc può davvero tradursi in una pacificazione che pone fine a decenni di straziante e devastante guerra guerreggiata poggiata sul terrore per la popolazione civile e su uno stato di instabilità che sembrava senza requie.

Si tratta di una transizione delicatissima anche perché nel frattempo non è che siano cessati del tutto gli episodi cruenti e destabilizzanti. Per dire: sono ben 186, nell’ultimo anno e mezzo, gli attivisti per i diritti umani, gli ambientalisti, gli animatori delle comunità cristiane che hanno perso la vita nella più totale impunità. E 67 in questo scorcio di 2017. Una guerra “sucia”, una guerra sporca a “bassa intensità” che falcidia giovani vite, sindacalisti impegnati, giovani delle formazioni cristiane, catechisti, preti e suore che nel solco della grande tradizione della conferenza di Medellin (1968) hanno da tempo fatto la scelta, non ideologica ma eminentemente patica della “opzione preferenziale per i poveri”.

Sullo sfondo – a tramare in modo sporco – l’ombra sinistra di Alvaro Uribe, ex presidente, grande supporter dei paramilitari (gruppi armati al soldo delle famiglie più potenti che seminano il terrore extra legem), probabile candidato per le presidenziali del 2018 dal momento che Santos, dopo due mandati consecutivi, non si può più presentare. E Alvaro Uribe rappresenta il peggio di tutto, un ritorno indietro verso l’abisso, una ricaduta nella guerra civile che porterebbe a galla le peggiori pulsioni di morte in un tessuto sociale già decisamente segnato da abissali diseguaglianze tra una minoranza – esigua, famelica, ingorda – che nulla vuole concedere a una parvenza minima di giustizia sociale e grandi maggioranze oppresse – un proletariato di fabbrica che per quanto decimato rappresenta pur una resistenza alle insensate pretese del grande capitale; un mondo campesino da secoli contrassegnato dalla rassegnazione al fatalismo che nulla potrà mai cambiare in meglio.

Gli ex guerriglieri delle Farc hanno da qualche tempo consegnato i kalashnikov e sono tornati, per così dire, alla vita civile. Fanno i contadini, si sono convertiti in caficultores. In cambio dell’amnistia hanno smesso una guerra che era diventata insensata e hanno aderito alla Federaciòn Nacional de Cafeteros che ha recentemente siglato un accordo commerciale con l’azienda triestina Illycaffé. Il presidente Santos ha avuto la tenacia e la perseveranza di credere in questo progetto di pacificazione, ha creato l’Agencia para la Reintegration, un organismo governativo indipendente che – secondo stime concordate tra le parti in causa – ha già permesso a qualche decina di migliaia di ex combattenti della guerriglia e delle famigerate formazioni paramilitari di destra di “rientrare” nella società civile colombiana. La produzione e la lavorazione del cacao, dell’avocado, della quinoa e del caffè permettono anche a queste persone di ritornare nel loro mondo contadino da cui erano stati strappati, per così dire, e ritrovare le loro origini nelle campagne senza essere fagocitati nelle orrende periferie urbane (orrende perché prive di tutto, non danno nessuna prospettiva se non cadere nelle fauci della microcriminalità da cui è difficilissimo sortirne).

È proprio bello sapere che nell’area del Cauca, una regione rurale del Sudovest della Colombia, lavorano – non da molto – quasi centomila coltivatori di caffè. Non più la coca ma il caffè. Vari tipi di caffè e ogni zona fa a gara per garantire la produzione del migliore caffè quello dall’aroma inconfondibile, il più buono, quello che ha un “aroma fuerte y acaramelado con notasdulces y florales”. Una bella gara in l’agonismo sano non si traduce in rivalità ottusa. E ben 55 scuole pubbliche superiori del Cauca hanno inserito nei programmi scolastici corsi specifici sul caffè, la sua coltivazione e i metodi di commercializzazione. Meraviglioso, davvero. Le spade si sono tramutate in aratri. I miracoli esistono, più miracoli di questi?

Papa Francesco con questa visita si ripromette di rafforzare gli sforzi per un processo di pacificazione vera e duratura nel tempo. È perfettamente consapevole che la “ingiustizia strutturale” – come era stata definita nella Conferenza episcopale di Medellin del 1968 – continua a stringere la Colombia, e gran parte del subcontinente, nella morsa di una iniqua distribuzione della ricchezza nazionale. Ma sa che solo attraverso la pace si può rimediare qualcosa a favore dei “vinti” della storia; con la guerra perdono tutti. Con la pace tutto è possibile, gradualmente, con tenacia e pazienza: una riforma agraria urgente, salari agricoli decenti, il giusto riconoscimento dei diritti dei campesinos. Ci si aspetta molto dalle parole e dai gesti di incoraggiamento di Bergoglio in un popolo che è e rimane profondamente religioso e cristiano.

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