Pil e benessere, un rapporto difficile

Anche in Trentino i dati evidenziano la crescente divaricazione fra crescita e benessere. Le cause e qualche possibile correttivo

Nel periodo 2005-2015, nonostante la crisi, il valore dei beni e servizi prodotti mediamente da ciascun trentino (PIL procapite) è aumentato del 12,3 per cento, un po’ più della media nazionale (9,5%). Nel medesimo periodo le persone in stato di «grave deprivazione materiale» sono però aumentate dall’1,6 al 5,1 per cento dei residenti. Altrove non è andata meglio: in Alto Adige e in Lombardia, ad esempio, questo indice di disagio è salito di oltre quattro punti, e di quasi cinque la media del Paese, che ha raggiunto l’11,5 per cento.

Anche la disoccupazione è aumentata, passando in Trentino dal 3,6 al 6,8 per cento (Lombardia: da 4,1 a 7,9%; Italia: da 7,7 a 11,9%). Dati che evidenziano la crescente divaricazione fra crescita e benessere.

Il prof. Mauro Magatti (Corriere della Sera, 28 luglio) ne analizza le ragioni, commentando quel «certo entusiasmo» espresso un po’ da tutti per il rialzo delle stime del PIL 2017. Queste ragioni possono riassumersi in una triplice concentrazione della ricchezza: settoriale, sociale e geografica. L’aumento del PIL è connesso principalmente ai comparti più innovativi che non sempre -trascinano il resto del sistema e soprattutto l’occupazione. «Il caso americano insegna: nonostante l’economia segni da anni un andamento positivo, il tasso di occupazione degli Usa rimane ai minimi storici (addirittura paragonabile a quello della grande depressione)». I settori buoni tirano, gli altri no, sicché l’occupazione latita e sempre più gente tira la cinghia. Se agli squilibri merceologici e sociali aggiungiamo quelli geografici, che il nostro Paese ben conosce, lo sviluppo iniquo è servito.

Per la letteratura economica non è una sorpresa. Secondo la rassegna curata da Pierluigi Ciocca e Ignazio Musu (Il sistema imperfetto. Difetti del mercato, risposte dello Stato) l'economia di mercato ha tre enormi limiti: è instabile; frantuma la società in ricchi e poveri; ferisce l’ambiente. Ha però un grande pregio: ha migliorato il tenore di vita del pianeta, al punto che, con l’affermarsi del capitalismo industriale, il reddito medio procapite dell’umanità è decuplicato, e in meno di due secoli è notevolmente aumentato anche il reddito della fascia più povera della popolazione mondiale.

Dobbiamo quindi rassegnarci a questa somma algebrica di pregi e difetti? Pare di sì, confidando però nella funzione correttiva dell'intervento pubblico che, nonostante storiche inefficienze, è insostituibile. Anche nell'affrontare le inique distribuzioni della ricchezza: gli incentivi e i servizi per l'innovazione fanno crescere una più ampia gamma di settori economici; la progressività delle imposte e gli interventi assistenziali attenuano gli squilibri sociali; le infrastrutture e gli incentivi incoraggiano l'iniziativa imprenditoriale nelle zone svantaggiate.

La certezza che i fallimenti del mercato ci trasmettono è proprio questa: l'intervento pubblico è l'irrinunciabile complemento del mercato; l'uno non deve contrapporsi all'altro, ma convivere in una simbiosi che pur ha enormi spazi di miglioramento.

In quegli spazi, agendo su sprechi e inefficienze, vanno trovati i risparmi di spesa per ridurre le imposte e salvaguardare l'azione riequilibratrice pubblica. Tutto ciò sarà determinante nella sfida per un’economia inclusiva e sostenibile.

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