386 nomi da custodire

Alex, Mohammed, Kaled… e via ricordando. Sono i 386 nomi delle vittime del naufragio-simbolo del 3 ottobre 2013 vicino a Lampedusa, nomi di persone, con altrettanti volti, famiglie, storie. In ricordo di tanti altri immigrati perduti in questi anni – senza un nome – nel Mediterraneo che “da culla della civiltà è diventato una tomba”.

La seconda Giornata nazionale di ricordo delle vittime dell'immigrazione è cominciata a Trento in piazza Dante con un simbolo responsabilizzante: ad ogni partecipante è stato consegnato un biglietto che riportava appunto il nome di una delle vittime riconosciute. Gli organizzatori della marcia nel centro storico di Trento – fra le 250 persone anche molti immigrati e non pochi richiedenti asilo ospiti delle residenze trentine – hanno chiesto ad uno strumento a corde della tradizione africana (la kora suonato da un cantante senegalese) di creare il clima di raccoglimento e di speranza necessario al ricordo di quel tragico avvenimento che è stato poi rievocato dalla lettura del testo “Quel mattino a Lampedusa” da parte degli scout del Masci.

Il Centro Astalli, il Centro Ecumenico e la Caritas hanno motivato i tre momenti del cammino: l'”esserci” della convocazione e dell'assunzione di responsabilità nei confronti dei più deboli: “Un percorso della memoria – ha detto il direttore della Caritas Roberto Calzà – che ci porti a operare per l'integrazione e a rendere più forti gli interventi delle nostre comunità”. Seconda tappa in piazza Italia dove il presidente del Centro Astalli Stefano Graiff ha sviluppato l'impegno a fare memoria: “riscoprire l'incanto di ogni essere umano” ed “essere costruttori di pace nel quotidiano”. Una memoria lunga “che non si esaurisce in una mobilitazione di poche ore, ma diventa risposta personale alla domanda lanciata da Papa Francesco nel cielo di Lampedusa: dov'è tuo fratello?”.

Il corteo silenzioso si è via via allargato formando un grande cerchio attorno a poche candele in piazza d'Arogno. Alessandro Martinelli ha sottolineato il concomitante ricordo a Bolzano del martire Joseh Mayr-Nusser, martire della giustizia, ed ha invitato i presenti ad accendere una fiammella come impegno a “custodire” la memoria delle vittime in una dimensione spirituale ribadita dai rappresentanti delle religioni. “Chi è morto nel mare non era partito per fare turismo – ha esclamato l'imam Aboulkheir Breigheche, invitando alla responsabilità, “ognuno di noi, nel suo piccolo” ricordando anche le parole di Gesù: “Ero straniero e non mi avete accolto. “Dobbiamo ringraziare i nuovi cittadini che sono arrivati e anche quelli che non ce l'hanno fatta, pagando un prezzo enorme, quello della vita”. Si calcola che ogni siriano ha pagato da 3 mila a 6 mila euro per poter scappare dalla sua terra, come ha ricordato l'imam: “Hanno sofferto molto e noi dobbiamo ricordarci di loro ogni giorno”.

Il parroco ortodosso rumeno Ioan Catalin Lupastean ha esteso la preghiera alle vittime che non hanno un volto e un nome: “Non hanno nessuno che li ricordi, sono spariti da questo mondo; per loro dobbiamo pregare, ognuno nel proprio credo”. Ed ha ricordato dei cristiani provenienti dall'Est che si segnavano una croce sulla mano destra per ricordare in che modo dovevano essere sepolti, secondo quanto previsto dalla propria fede.

“Questa sera ricordiamo una data triste, ma questa può essere l'occasione per risvegliare la speranza davanti ad un'umanità che soffre e non ha futuro” ha sottolineato don Marco Saiani, vicario generale della diocesi di Trento, che ha concluso: “Queste fiammelle possano fare luce perchè umanità imbocchi la strada della giustizia e renda ospitale la terra. Tutte le tenebre del mondo – diceva qualcuno – non bastano a vincere un raggio di luce”. Durante la serata sono state raccolte sottoscrizioni all'appello “Ero staniero…” e sono state annunciate alcune iniziative sul tema in programma nella Settimana dell'accoglienza (vedi pag. 12).

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