Se ognuno comprendesse la “comune umanità”

Nel programma della Settimana dell’Accoglienza, che porta in regione una quarantina di testimonianze, le Comunità d’Accoglienza esaltano il valore della “comune umanità”, perchè – spiegano – “le etichette con cui distinguiamo, classifichiamo, separiamo gli esseri umani valgono poco o nulla di fronte alla comune umanità che li lega”. Che riscoperta, questa “comune umanità”! Significa davvero “comune destino, comune grandezza e comune fragilità, comune unicità e comune mistero”.

Incalzati dai video degli scontri in Catalogna, ci vien da pensare che se domenica si fosse riconosciuta la “comune umanità” si sarebbe evitata la repressione e, prima ancora, si sarebbe trovata una composizione pacifica per le istanze autonomiste. Ma anche a casa nostra nel dibattito culturale, politico e anche religioso ci dimentichiamo presto della “comune umanità” e lasciamo prevalere l'esclusione, la chiusura, l'invettiva.

Per cogliere un altro esempio di cronaca, proprio in virtù della “comune umanità” il quotidiano cattolico Avvenire ha accolto da domenica nelle sue pagine le vignette del disegnatore Sergio Staino, già presidente dell’Unione Atei e Agnostici razionalista: chi ha gridato allo scandalo non ha compreso il significato di misericordiosa apertura verso l’ex mangiapreti sessantottino che ora si ritrova, senza aver fatto il salto della fede, a riconoscere e anche ad esprimere a suo modo il fascino del falegname di Nazareth: “Per me – ha spiegato ad Avvenire, di cui apprezza lo “sguardo aperto sulla realtà” – Gesù è un bellissimo personaggio storico, il primo dei socialisti, il primo a combattere per i poveri. Lo dico sempre, quando vado nelle scuole a parlare: non mi toccate Gesù, che ha fatto tanto bene al mondo… “. A causa di una malattia Staino è quasi cieco, ora disegna vignette col computer e osserva “comunque, quelli che mi vengono davanti io non li vedo. Allora li abbraccio, li stringo”.

Riconoscere la “comune umanità” ci rende tutti più umani, meno egoisti d’istinto. Basta chiederlo a tanti trentini che in questi mesi hanno dedicato parte del loro tempo ai fratelli immigrati accolti nelle “canoniche aperte”: ne sono nati dialoghi, confidenze, talvolta anche amicizie e accompagnamenti che hanno beneficamente “messo in crisi” anche il proprio stile di vita. “Stando con questi ragazzi ho capito quali sono i valori importanti per la loro e per la mia vita – confessava un volontario della val di Non – sono stato costretto a rivedere certi miei atteggiamenti”. Altro che invasione, dunque, semmai una salutare “comunanza”, condivisione dei propri limiti e delle proprie spesso insoddisfatte attese. E’ quella che Giorgio Paolucci ha presentato alla Scuola diocesana di formazione politica come “il modello dell’identità arricchita”, praticabile via verso un’integrazione basata sul dialogo.

Ma l'attenzione al comune denominatore “umano” chiama in particolare ogni credente ad essere anche più evangelico: “Non c'è più giudeo né greco; non c'è più schiavo né libero; non c'è più uomo né donna – scrive Paolo agli “stolti” Galati – , poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù”. L'appartenenza cristiana più convinta ci porta a sentirci dentro la comunità di tutti gli uomini, abbattendo paletti talvolta previsti solo per comodità o pragmatismo.

Nella visita a Bologna, ancora una volta Papa Francsco ci ha insegnato come l'amore cristiano s'appoggia sul valore della “comune umanità”: dopo aver incontrato i migranti, indossando come loro il braccialetto identificativo giallo, è andato a condividere il pranzo con poveri e disagiati sotto le volte della basilica di San Petronio: lasagnette, cotoletta e patate e tanti dialoghi personali, bagnati di lacrime e asciugati anche da qualche battuta spiritoso. Ad un carcerato che gli chiedeva quale profumo usasse, il Papa ha risposto: “Niente profumo, solo saponetta”. Comune umanità, comune odore.

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