Oggetti migranti

Gli oggetti raccontano tanto di una persona, della sua storia e delle sue relazioni…

La domanda a prima vista appare semplice: cosa porti con te? Se vi si aggiungono dei particolari, però, diventa un po’ più complessa: cosa porti con te quando devi lasciare il tuo Paese per cercare un futuro migliore in un altro posto?

Gli oggetti raccontano tanto di una persona, della sua storia e delle sue relazioni, perché in essi si riversa una piccola parte di sé. Come sosteneva l’antropologo Igor Kopytoff, la biografia degli oggetti può far emergere dei particolari che altrimenti rimarrebbero oscuri.

Luca Pisoni, insegnante con studi di archeologia ed antropologia alle spalle, è partito dall’analisi degli oggetti per tentare di restituire la complessità delle storie di chi, costretto a lasciare la propria terra, arriva in Europa. “Cosa ti porti in Europa? Oggetti dei bagagli dei migranti tra Sud e Nord del Mediterraneo” è il titolo del suo lavoro di ricerca, che ha presentato giovedì scorso in sala Marchesoni a Caldonazzo. “Mi sembrava un quesito interessante al quale rispondere, ed ho deciso di porlo direttamente alle persone interessate”, ha spiegato Pisoni.

La ricerca di Pisoni, condotta principalmente da solo, fatta eccezione per una collaborazione con l’Università di Bolzano e il Cinformi, è partita nell’estate del 2015, attraverso l’incontro con 50 migranti nelle stazioni dei treni di Bolzano e del Brennero. Si trattava in particolar modo di uomini eritrei di religione cristiana.

La seconda parte della ricerca, invece, è stata svolta nell’estate del 2016 presso la Residenza Fersina a Trento Sud, dove erano presenti 400 richiedenti asilo di diversa provenienza. Persone che, per arrivare in Italia, avevano attraversato il Mediterraneo o percorso la rotta balcanica. Tra di loro, ne sono state intervistate 50.

Nonostante gli obiettivi della ricerca non fossero fin da subito perfettamente definiti, il punto fermo era la voglia di capire la storia che si nascondeva nelle pieghe degli oggetti di queste persone. Una sorta di “microcosmo di casa”, che ha portato Pisoni a scoprire qualcosa di più della cultura dei migranti e dei loro Paesi.

Tanti oggetti, come amuleti, croci e le foto di casa, rimandano alla sfera privata, alla vita familiare ed affettiva.

Molti ragazzi, quando attraversano il deserto del Sahara ed arrivano in Libia, subiscono dei furti. Di solito, cercano quindi di conservare le cose più preziose al riparo dalle razzie: spesso capita che i migranti arrivino senza cellulare in Italia, ma conservando intatta la scheda del telefono con le foto di familiari e del proprio Paese.

Molti oggetti rimandano anche alla sfera liminale, che sta, cioè, tra quella privata e quella pubblica. Un esempio sono i vestiti ed i trucchi degli Afghani, che hanno raccontato di sentirsi più a loro agio con quegli abiti rispetto a quelli imposti dalla moda “occidentale”. “L’abbigliamento – ha precisato Pisoni – è importante dal punto di vista psicologico: ha a che fare con l’immagine di sé, con l’autostima e la sicurezza”.

L’ultima sfera, quella pubblica, ci racconta di un mondo fatto di sport, politica e patriottismo. Sia Eritrei che Pakistani ed Afghani portano con sé le maglie delle proprie squadre di calcio e di cricket preferite.

Un grande assente, in questo microcosmo personale, è il lavoro. “Tante persone si definiscono attraverso il lavoro; è significativa la mancanza di questo riferimento, indice che nei Paesi dai quali i migranti scappano ce n’è poco e, dove c’è, è comunque saltuario”, ha spiegato Pisoni.

La ricerca rappresenta un inizio, perché cercare di capire, anche attraverso gli oggetti, le storie di chi arriva in Italia, è una delle strade per disegnare un vero percorso d’integrazione.

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