Ritorno al selvatico

Pratiche come il foraging, ovvero la raccolta di alimenti spontanei, e l’alimurgia incoraggiano il recupero di fonti alimentari dimenticate

Il 16 ottobre di ogni anno, in occasione della ricorrenza della fondazione della FAO, si celebra la Giornata mondiale dell’alimentazione. Temi dell'edizione di quest'anno sono stati il futuro delle migrazioni, la sicurezza alimentare e lo sviluppo rurale. Un'altra occasione, insomma, per riflettere in maniera approfondita sulla disponibilità del cibo e soprattutto sulla sua origine.

Nei paesi in cui la lotta alla fame non è più fortunatamente una priorità è interessante notare come si siano sviluppate, specialmente negli ultimi decenni, una maggiore consapevolezza e scelta critica degli alimenti che ognuno di noi decide di portare in tavola.

Non è più quindi solo la disponibilità economica a far preferire un ingrediente rispetto ad un altro o la facile reperibilità sugli scaffali del supermercato. Influenzano le nostre scelte anche l'accesso ad una quantità sempre maggiore di informazioni e ricette, nuove correnti di pensiero, contaminazioni geografiche e culturali e soprattutto il desiderio di consumare qualcosa che sia sano e quanto più naturale possibile.

Andare oltre il biologico e il biodinamico è possibile e soprattutto non è una novità: nell'ambiente naturale sono sempre stati disponibili dei cibi selvatici ben noti e consumati dalle generazioni passate. Funghi, piccoli frutti, semi e bacche, oltre a erbe spontanee sono ingredienti che abbondano anche nel nostro ambiente montano. Recuperare fonti alimentari dimenticate e sconosciute è una nuova tendenza che si fa strada tra chi sceglie una dieta sana e naturale, con un occhio di riguardo anche alla sostenibilità ambientale visto che si tratta di ingredienti che crescono spontaneamente.

Chi è sul pezzo ormai da qualche tempo ha già sentito o letto parole come foraging e alimurgia, ma anche chi frequenta le librerie avrà sicuramente notato come i nuovi titoli dedicati a erbe spontanee, cucina naturale e fermentazioni sono in crescita esponenziale.

Non ha quindi destato troppo stupore nemmeno l’apertura, avvenuta i primi giorni di ottobre tra il cemento e lo smog di Milano, del primo bar endemico del mondo: qui si consumano esclusivamente cibi e bevande a base di ingredienti selvatici. Nel menu si possono trovare fichi glassati con miele e gemme di abete fermentate in acqua e sale, zuppe di frutta secca e erbe fresche di montagna, mele selvatiche servite con gelato alle alghe e fiori balsamici. Tra i cocktail invece rhum con sciroppo di sambuco e rose candite, acqua aromatizzata con rametti di abete. L’iniziativa è frutto di Valeria Margherita Mosca, giovane donna con alle spalle una tradizione familiare nella ricerca e nell’uso di piante commestibili. È stata proprio lei a fondare nel 2010 Wood*ing Food Lab, un vero e proprio laboratorio di ricerca e sperimentazione sull’utilizzo del cibo selvatico per la nutrizione umana.

Ma altri esempi nostrani di cucina con ingredienti spontanei non mancano. Tra tutti è impossibile non citare Alessandro Gilmozzi, chef stellato di Cavalese, che più di vent'anni fa, in tempi assolutamente non sospetti per mode e tendenze, ha unito le sue competenze culinarie all'amore per il bosco e la montagna portando in tavola licheni, foglie di betulla candite, e un profumatissimo gelato alla corteccia di larice.

Dalla Val di Fiemme alla Val Rendena dove ai piedi dell'Adamello Noris Cunaccia raccoglie erbe spontanee, resine, radici e bacche che poi lavora e cucina con acqua di fonte per dare vita a piccole creazioni gourmet come il pesto di fieno e il ketchup di rosa canina, richiestissime dagli chef stellati di tutto il mondo.

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