Seminatrici di pace

In cammino per tessere i fili intricati della pace e della riconciliazione, unite dal desiderio di costruire insieme una convivenza possibile.

Sono le Donne di Fede per la Pace, il gruppo nato nel 2009 a Trento, grazie all'intuizione di Lia Beltrami Giovanazzi, allora assessora provinciale alla solidarietà internazionale ma anche regista e scrittrice, e Hedva Goldschmidt, ebrea ortodossa, attivista per le questioni sociali e produttrice cinematografica in Israele. L'idea è stata poi accolta da altre sei donne, leader di diverse comunità religiose in Terra Santa, e da allora l'esperienza si è diffusa nei cinque continenti, cominciando dall'America Latina e dall'Africa fino in Europa, in zone “difficili” e di conflitto, in cui la pace, come in Medio Oriente, sembra lontanissima. Le Donne di Fede per la Pace sono tornate in Trentino, dal 15 al 18 ottobre, per una serie di nuovi incontri aperti alla comunità ma soprattutto alle scuole, per ispirare i giovani all'impegno nel dialogo e nell'inclusione.

“All’inizio eravamo diffidenti l’una dell’altra – ricorda Faten Zenati, musulmana palestinese – avevamo paura, una di loro era lì come nemica, colona. Poi la paura si è trasformata in conoscenza fino a diventare una forte amicizia”. A Lod, a dieci minuti di macchina da Tel Aviv e dove è dominante la presenza di coloni ebrei, Faten ha trovato il coraggio, insieme con una rappresentate ebrea ortodossa, di fondare un centro sociale aperto alle diverse fedi. “Prima si facevano attività separate – spiega – oggi il centro è multiculturale, arabi e israeliani sviluppano assieme le diverse attività dalla danza al teatro e allo sport per i bambini e un percorso di studi per le donne. L’unione nelle differenze ci rende più forti”. Anche Nuha Farran, arabo-cristiana di Israele, da anni è impegnata nel dialogo fra le diverse comunità e promotrice di percorsi per i giovani e di sviluppo per le donne cristiane.

Usare la cultura e i suoi strumenti per diffondere conoscenza e abbattere i muri della diffidenza reciproca è la strategia di Gilli Mendel, già direttrice della Cineteca di Gerusalemme. Dal 1999 porta avanti nelle scuole superiori di Gerusalemme il progetto “I am. You are” (Io sono. Tu sei”), esperienza che coinvolge 60 studenti ebrei e palestinesi all’anno e che è esportata in tutto il mondo. “L’obiettivo è quello di lavorare sull’identità – spiega – messi l’uno accanto all’altro nella realizzazione di un film i ragazzi sono costretti a cooperare, iniziano a conoscersi, a rispettarsi, a scoprire in fondo di essere molto simili, riconoscendosi nei valori universali, oltre i confini della religione di appartenenza”. A raccogliere la sfida del cambiamento e del dialogo interreligioso c’è anche Adina Bar Shalom, ebrea ultra ortodossa, sorella del Gran Rabbino di Gerusalemme, tra le donne più influenti del Paese, attivista in difesa dei diritti delle donne, in particolare quello all’istruzione. Ha avuto il coraggio di fondare a Gerusalemme la prima Università dove uomini e donne haredim possono accedere allo studio nel rispetto delle loro regole e tradizione. Tra i progetti avviati anche un corso di soluzione dei conflitti tra ebree ultraortodosse e donne palestinesi. Parte dalla sfida educativa anche la missione di Nicoletta Gatti, roveretana docente universitaria di teologia in Ghana. “Il primo passo è la conoscenza reciproca – racconta – favorita da un percorso comune per tutti gli studenti di tre esami fondamentali: introduzione all’islam, al cristianesimo e alle religione tradizionali africane. Frequentando le lezioni nelle stesse aule si aiutano reciprocamente e questo crea una sorta di fraternità e di scambio, che supera il confine della religione: si guarda l’altro nella sua umanità e unicità come persona, come immagine e somiglianza di Dio, non importa l’appartenenza religiosa”.

Stimolate dal recente riconoscimento, il prestigioso Leone d’Oro per la Pace, attribuito per la prima volta alla Mostra internazionale del cinema di Venezia, il gruppo Donne di Fede per la Pace invita a promuovere la cultura del dialogo e della convivenza pacifica nei processi di sviluppo di ciascun Paese.

“A partire dalla nostra condizione di donne, madri e dalla formazione delle nostre famiglie – auspica Hedva Goldschmidt – per poi ispirare con le nostre azioni concrete gli amici, la comunità in cui viviamo, a vantaggio dell'intera umanità. E' l'effetto del sassolino gettato nell'acqua che forma cerchi concentrici via via sempre più grandi”.

“Il dialogo non è un’utopia quanto una realtà concreta fatta di amicizia, di comprensione e di perdono – conclude Lia Beltrami Giovanazzi – ce lo dimostrano il calore e lo stile di vita di queste sorelle, di donne in zone di conflitto in prima linea per un futuro di pace fra i popoli”.

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