In ospedale a lezione di umanità

Perché iniziare un'esperienza di volontariato a fianco di malati? Quali motivazioni per portare se stessi all'interno di una realtà di sofferenza? E quali parole scegliere per dare conforto e compagnia? Sono domande provocatorie quelle emerse durante l'incontro di formazione, svoltosi martedì 24 ottobre nell'ambito di "Va' anche tu e fa lo stesso", percorso di volontariato, giunto al sesto anno, con gli ammalati dell'ospedale San Camillo di Trento. Domande alle quali tentare di rispondere prima di salire in reparto, entrando nelle loro camere accompagnati dalle suore o da chi ha già vissuto l'esperienza negli anni precedenti e può fare da "guida".

Hanno risposto all'invito una trentina di studenti universitari – mentre il giovedì l'incontro è dedicato agli studenti delle superiori -, trovando ad accoglierli nella biblioteca dell'ospedale un gruppo di suore, don Mauro Angeli, responsabile del percorso promosso dalla Pastorale giovanile e universitaria in collaborazione con la comunità camilliana, e Angela e Francesco, due "guide" che si occupano del momento formativo dedicato ai coetanei.

Al canto iniziale è seguita la lettura della pagina evangelica che narra la chiamata dei discepoli, quando Gesù, camminando lungo il mare della Galilea, vide Simone e Pietro e rivolse loro il suo "Venite dietro a me e vi farò pescatori di uomini" (Matteo 4, 18-22). "Lo sguardo di Gesù va oltre, intuendo la bontà nascosta in due semplici pescatori: siamo capaci di guardare l'altro con gli occhi del cuore? – ha detto suor Melanie, soffermandosi non a caso sul verbo "vedere" -. Poi li invita a seguirlo per condividere la sua esperienza: ha avuto fiducia in loro e i discepoli, sentendosi accolti e amati, hanno trovato il coraggio di lasciare tutto, trovando una ricchezza maggiore".

Nelle motivazioni dei giovani, indicate su un cartellone, spiccava la parole "servizio", insieme al desiderio di approfondire la propria fede, considerando il volontariato un'occasione di crescita personale e di conoscenza di una dimensione quale quella del dolore, fisico e morale, che abitualmente si vuole evitare. Una scelta accompagnata dalla consapevolezza che per stare realmente vicini ad una persona che soffre è importante imparare ad evitare atteggiamenti fastidiosi e insensibili, tali da impedire all'incontro di risultare realmente confortante, come quelli evidenziati nella scenetta in cui Angela e Francesco hanno rappresentato il primo incontro tra una giovane volontaria e un anziano ricoverato.

Significative le riflessioni emerse dal confronto tra i giovani: la tentazione è di rassicurare frettolosamente sulla guarigione, facendo paragoni con altre persone, dimenticando che ogni malato vive un'esperienza unica. Il rischio è di interrompere l'altro mentre parla, dare giudizi, minimizzare le paure, dire frasi fatte, stare in fondo al letto: vicini fisicamente, ma lontani con il cuore. Ciò che può facilitare la nascita di un contatto umano autentico, invece, è il sapersi avvicinare gradualmente e con delicatezza: salutare e presentarsi, chiedendo all'altro il suo nome; stare attenti alle espressioni rivelatrici del volto, predisponendosi all'ascolto; interessarsi ma con discrezione, cercando di capire se preferisce chiacchierare o se ha bisogno di tempo per entrare in confidenza, se ha voglia di parlare della sua malattia o se vuole distrarsi e desidera avere notizie di quello che accade fuori dall'ospedale. L'incontro si è concluso con la preghiera del volontario, poi i giovani sono saliti in reparto a piccoli gruppi, accompagnati dalle suore e da alcune "guide".

Il progetto di sostegno agli ammalati è cresciuto negli anni, registrando una partecipazione via via crescente – ora sono 70 i volontari coinvolti -, al punto che tra chi ha vissuto l'esperienza l'anno scorso si è formato spontaneamente un gruppo di giovani che, terminato il percorso, ha continuato ad andare a visitare i malati. Il loro impegno è poi proseguito realizzando un video e portandolo nelle scuole per raccontare la loro esperienza, testimoniando che "fare" volontariato a fianco dei malati significa sperimentare la scoperta di una bellezza rigenerante: non si tratta solo di "dare vita", ma anche di riceverla attraverso il canale creato da gesti semplici, come una stretta di mano e un sorriso, generatori di senso e ricchezza per entrambi i protagonisti dell'incontro.

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