Quel dialogo (possibile) tra fede e scienza

L’autore cerca una strada possibile tra gli articoli tradizionali del Credo cristiano e le ipotesi scientifiche

A Trento insegna un professore di ingegneria che, oltre a pubblicazioni e volumi inerenti il suo ambito di ricerca (la metallurgia), vanta al suo attivo ben tre libri che si occupano di teologia. Giovanni Straffelini è ormai un nome conosciuto almeno a livello locale, soprattutto per il suo coraggioso desiderio di far dialogare – forse di rendere compatibili – la fede e la scienza. Questa è una sfida centrale per il tempo contemporaneo, in cui il linguaggio scientifico è diventato il paradigma per eccellenza del modo di guardare il mondo. Straffelini, persona esigente e attenta, pensa che la fede cristiana possa trovare appoggi e non smentite proprio nelle più sofisticate e innovative teorie scientifiche. In “Uno e Trino. Dio, la Trinità, la scienza” (questo il titolo del volume, edito da Landau, uscito poche settimane fa), l’autore dà un originale interpretazione – scientifica e teologica – di quelli che lui, e non solo lui, chiama i tre “Big bang”: la nascita dell’universo, il sorgere della vita sul nostro pianeta e infine l’evolversi delle specie viventi che ha portato all’homo sapiens e alla sua coscienza consapevole e libera. La scienza continua a indagare questi enigmi con il suo metodo precipuo benché alcuni teorici sostengono che questi abissali passaggi non potranno mai essere completamente compresi dalla razionalità umana.

Non è possibile riassumere in poche righe il complesso ragionamento di Straffelini. Conscio di entrare in un terreno impervio, l’autore cerca una strada possibile tra gli articoli tradizionali del Credo cristiano – che ruotano attorno alla visione trinitaria di Dio – e le ipotesi scientifiche. Ovviamente non si può “dimostrare” l’esistenza di Dio per via “razionale”, cioè in un certo senso indubitabile: se così fosse invece verrebbe meno una delle principali caratteristiche dell’uomo, cioè la sua libertà. La ragione tuttavia – così sostiene Straffelini – non solo lascia spazi per il mistero ma si lega ad esso in una connessione fruttuosa, che non elimina la diversità degli ambiti. Per questo il professore non parla di “prove” oggettive ma di “rimandi ragionevoli” e di “possibilità razionale” delle principali verità della fede cristiana.

L’esito di tale impostazione può creare discussioni e obiezioni. Questo è un ulteriore merito del libro. Per Straffelini la scienza può generare analogie e intuizioni in grado di gettare luce per una migliore interpretazione della rivelazione basata sulla Scrittura. Il credente non deve aver paura della scienza. La fede è invece una via possibile per capire il mondo senza rinunciare a nessuna prerogativa della razionalità.

In questo senso l’autore si colloca nel solco della riflessione di Teilhard de Chardin (non citato apertamente nel libro ma comunque presente), il gesuita scienziato e teologo, che più di altri ha cercato di “tenere insieme” la fede e la scienza, in primis attraverso uno studio approfondito della teoria dell’evoluzione.

Il pericolo insito in questo approccio è quello di voler creare il “sistema” capace di rendere razionale ciò che invece sfugge a qualsiasi logica categoriale. Non solo il mistero di Dio deborda dalla razionalità, ma pure la presenza del male e della morte – se non la guardiamo in una prospettiva naturalistica – mette in discussione ogni tentativo di comprensione. Il predominio del discorso scientifico razionale finisce per far diventare filosofia la religione. È questo il rischio principale della stessa teologia quando pretende di staccarsi dal dato biblico che invece è frammentario, contraddittorio, esaltante e oscuro, proprio come la vita.

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